Quando sogni una casa dei sogni
Questa è la mitologia che fino ai primi anni 2000 ha animato la psiche collettiva. Investire sulla casa, comprare mattoni, arredarla, rifarne il tetto, particella catastale, scale, condominio, giardino in comune, solaio, soffitte cantine garage ascensore.
Questa mitologia viene oggi in parte rivista, oggi si predica il non acquisto in favore dell’affitto. Insomma sembra che le mitologie cambino nel tempo. Ma questa non è una novità del resto anche gli dèi venivano narrati con natali diversi a seconda del tempo e della voce di chi li raccontava. E del resto i manuali diagnostici psichiatrici levano e mettono malattie come fossero dèi.
Ma una lettura in trasparenza di questo fenomeno, l’acquisto della casa, corale e collettivo ci può aiutare a mettere a fuoco cosa stia succedendo a livello di inconscio collettivo e, involontariamente, questa visione in trasparenza, ci dirà molto del senso che ha sognare una casa, sia che voi siate pazienti o terapeuti, che poi, è sempre la stessa cosa.
Le immagini nei sogni
Non sono mai stanco di dire quello che sto per dire. Non mi stanco perché è mera traduzione delle immagini, è consegnare una chiave di lettura a tutti evitando che la psicologia si blindi. Lavorare con i sogni e con le immagini non è, infatti, difficile. Ma alla psicologia piace farsi scienza scimmiottando la magia, quindi elude le esplorazioni ingenue e lascia intendere che vi sia un trucco segreto e incondivisibile. Invece … ecco mi ripeto un’altra volta:
…ogni immagine è un archetipo, ogni archetipo è un’emozione, un bisogno, una condotta. In un sogno la trama tra le immagini, che siano oggetti o individui, è semplicemente la trama tra le nostre emozioni e bisogni e condotte. Potrei, per fare un esempio letteralizzato… amare la sorella di mia moglie… questo si tradurrebbe in due immagini, ossia in due emozioni, che si combattono e non riescono a convivere.
E la casa?
La casa è frequentissima nei sogni. Ne incontriamo di diroccate, di appena restaurate, senza luce, in riva la mare, in costruzione, open space o con tante stanze piccole, con lunghi corridoi o con pareti crollate, piene di impalcature, a più piani e con un seminterrato o tutte sottoterra.
L’immagine della casa si offre sempre per informarci di quale sia la nostra attuale struttura psichica. Non si tratta di un io, ossia di una singola emozione o bisogno, piuttosto la casa si offre come descrizione semplificata di come si organizzano le immagini tra di loro. Dunque nel sogno vi sono immagini che si riferiscono alle emozioni e altre che ci informano su come si organizzano le emozioni, le immagini, gli archetipi. La casa è una di queste.
Ecco che la mitologia dell’investire sul mattone invase, nel secondo dopoguerra, o meglio un po’ più in là, l’animo di tutti i nostri genitori. L’idea di poter mettere in piedi una propria struttura psichica stabile e definitiva era la grande truffa promossa dalla psicologia che si voleva ergere a scienza. E il mondo, quella valle del fare anima in cui viviamo e siamo immersi, ha assunto le forme di quella stessa fantasia. Si, la storia del mercato immobiliare diventa, in quest’ottica, la storia dell’evoluzione della struttura psichica collettiva e individuale. La fantasia di guarire da chi si è, eredità della psicologia scientifica, ben si presta all’acquisto, immaginale, di una casa per la vita. Okkey, compro casa e ho fatto! Invece oggi il mercato è cambiato, si cambia casa e si compra o vende più volte nella vita. Anzi magari si evita di comprarla perché alcuni economi suggeriscono che avere liquidità da più resa che avere mattoni. Alcuni ci dicono che non è più il tempo che si compri una casa per tutta la vita.
La nuova psicologia si adegua alle nuove consapevolezze e al mercato immobiliare. Così facendo scopre e teorizza una psiche più dinamica, una struttura psichica che cambia di generazione in generazione e all’interno di una generazione. Oggi accettiamo l’idea che vi sia una psiche politeista con tanti “IO” che si alternano. Oggi sappiamo che convivono in noi il principe azzurro e l’orco cattivo, la prostituta e la pudica madre. Per questo il mercato immobiliare cambia, quasi a dirci che ogni immagine ha la sua casa e che ogni casa è una “comune” in cui convivono comunità intere di immagini. E ogni comunità ha la sua architettura adeguata al suo tempo.
Il trasloco e la sincronicità
“Ahiahiahi”! Eccolo il trasloco!
È tra i primi cinque eventi maggiormente stressanti nella vita di ognuno, tanto più se prevede un cambio di città.
Mi trovavo oggi con due colleghe e loro, senza curarsi di me, parlavano del trasloco. Ne parlavano solo alcuni minuti prima che io scrivessi questa seconda parte dell’articolo. Allora ho detto loro che avrei rubato qualcosa. “Ogni volta il trasloco è una scoperta, ritrovi cose dimenticate e trovi nuovi oggetti utili e altri inutili”. Che bellissima sincronicità portata da due femminili che, meticolosamente e nostalgicamente, parlano di un ritrovarsi, di riconoscere qualcosa che avevano dimenticato o mai considerato della loro Anima.
Qualcosa che senza il trasloco sarebbe rimasto celato. Allora ecco che cambiare casa, traslocare è forse il vero telos della terapia. Non tanto cambiare le proprie immagini, non cambiare le proprie emozioni, i propri bisogni o comportamenti. Piuttosto traslocare, ristrutturare o cambiare casa. Piuttosto ridefinire gli spazi per le immagini, ridefinire gli spazi per ogni singola emozione, ristabilire gli spazi comuni per i bisogni, buttare giù pareti per metterli in comunicazione ovvero tirare su tramezzi per differenziare i comportamenti. Ridefinire il posto per ogni cosa. Pulire la cantina o il lucernario, costruire un piano o levarne uno. E, se vengono i ladri e entrano nella casa di notte, nel sogno, allora dobbiamo gioire perché porteranno via, angosciosamente, qualcosa che non è più tempo che sia lì.
Terremoto e maremoto
Arrgh! Il terremoto l’evento più infausto nella nostra vita concreta è il più devastante processo di rinnovamento psichico se letto in trasparenza. Sto scrivendo a L’Aquila questo pezzo, a poco più di dieci anni dal sisma e solo dopo 4 dall’ultimo amatriciano.
Insomma quanti sognano terremoti e giungono in terapia. Ma un terremoto psichico è necessario per osservare dove non avremmo dovuto costruire, dove avremmo dovuto lasciare spazio ai fiumi e agli alberi. Una struttura psichica deve avere il suo piano urbanistico. E una casa in riva al mare è una struttura prossima al cosiddetto inconscio, ossia prossima all’elemento che contiene tutte le immagini. Ma un maremoto può travolgere la casa. Una psicosi, ossia un’inflazione di psiche, un “osi” di immagini, un’immaginosi può buttare giù la struttura che è prossima al mare. Allora una casa in riva al mare è manna per una psiche che si approccia a conoscere se stessa ma, al tempo stesso, è atto rischioso quello di costruire e organizzare le immagini in riva al mare. Il rischio di immagin-osi. Eppure ogni terapia che si rispetti inizia con un viaggio in oriente e con un incontro col mare. E una casa lì non va trascurata anche se abusiva.
Cambio casa
Voglio cambiare casa, mettere via i libri, tirare giù i quadri e ridipingere le pareti. Voglio averne una diversa ogni giorno. Ma non voglio comprarla perché comprare casa è condannarsi a una struttura psichica una volta per tutte. Invece fare lo psicoterapeuta significa cambiare una casa all’ora, o ogni 45 minuti. Significa diventare un architetto dell’anima in visita alla biennale di architettura.
E poi? E poi e poi… e poi gli impianti, l’idraulica, l’antisismico. Una casa antisismica è necessaria ma, badate bene, antisismica vuol dire che non ti crolla addosso ma che se arriva un terremoto, devi comunque cambiare casa. Merda! Prima che crolli ma con la speranza che crolli. Si il mio lavoro è da immobiliarista. Offro case in alternativa a quella attuale che sembra non rispondere più alle esigenze di tutto quel gentle folk che la abitano.
Piscine e altri vezzi nelle case
Allora una piscina accanto ad una casa nel sogno è un timido tentativo di approcciare all’acqua. Un timido tentativo di contattare le immagini che tendiamo a trascurare ma il mare? Si il mare è più di un vezzo… Eccolo nel sogno di un’affezionata membro del gruppo James Hillman la valle del fare anima:
…arrivo in una casa dalla stradina di un paesino pittoresco, arroccato su una collina che si affaccia sul mare. Entro, forse non dovrei, è molto articolata, è come piace a me, tutta bianca, porticine, finestrelle di diverse forme e dimensioni, mura spesse, forme morbide di calce da casa greca, ma con un tocco da piccolo castello. Niente vetri, né porte, tutto aperto, alcune danno sul mare, entra una luce travolgente, ma la casa dentro è divisa in tante piccole stanze poco arredate…
Una casa bianca che rinvia all’albedo alchemica, al bisogno atavico di scorgere panorami nuovi nell’immensa staticità dei nostri orizzonti. Eppure arroccata come un castello e articolata, forse troppo. Arroccata e poco raggiungibile. Bellissima e abbacinante. Ma sempre, e dico sempre, una casa arroccata si dovrebbe “disarroccare”, una casa articolata si deve semplificare, una casa con molte piccole stanze si deve fare open space. Insomma il mercato immobiliare ci suggerisce che qualsiasi sia la nostra casa, si tratta solo di una struttura che diverrà obsoleta prima o poi. Tutto aperto che deve chiudersi, tutto chiuso che deve aprirsi.
E poi scale e porte, ascensioni e discese agli inferi. Una casa che non consenta la discesa è una struttura che si nega all’ombra delle cantine. Una casa che non consente salite è una struttura troppo terrena che non ammette sublimazioni ne letture in trasparenza. E le porte? Che belle le porte, chiuse o aperte mostrano la capacita di una struttura psichica di transitare da una stanza a un’altra, da un bisogno all’altro, da una condotta a ciò che l’ha creata, all’emozione che la muove.
La casa nei sogni è una epifania di noi stessi, ci informa, in un sol colpo, su chi siamo e su come funzioniamo, ci informa, in un solo istante, sul modo in cui organizziamo le nostre immagini, i nostri bisogni, emozioni e condotte.
In albergo
E se la casa che abitiamo è un albergo? Quello stesso albergo in cui Hillman nacque ad Atlantic City? Allora la struttura psichica è per sua stessa natura temporanea. Una temporaneità che per noi gente comune è troppo labile e volubile per consentirci di essere sereni. Una temporaneità che per chi ci nasce e vive, come il nostro gentile anfitrione, diventa un vero e proprio telos pieno di servizi.
Sappiamo solo una cosa. Sappiamo solo chi ci abita ora. Sappiamo in che stanza si trova e in quale casa. Ma non sappiamo chi busserà alla porta domani o tra qualche istante. Non sappiamo se ci sarà un terremoto o se ristruttureremo. Sappiamo soltanto che il modo in cui abbiamo messo i mobili va bene per un fugace momento e poi arriva un ospite che sposta la sedia. Quel maledetto ospite che crediamo temporaneo e magari, invece, è il nuovo padrone.
Ecco che una paziente giunge in terapia e porta un sintomo. Perde in continuazione le chiavi di casa e si rammarica. Io accolgo, ascolto e proteggo. Intanto in cuor mio gioisco. È ora di cambiare casa e con lei tutto ciò che attiene ad Estìa, al focolare e al materno. Cambiare casa è anche cambiare il modo in cui ci riscaldiamo al fuoco del materno interiore. Cambiare casa è anche cambiare il modo di prendersi cura delle proprie immagini.
Sabato scorso sono uscito per fumare una sigaretta e ho messo le chiavi nella toppa, all’interno. Quindi ho chiuso la porta dietro di me. In pigiama e scalzo, con quella disgraziata sigaretta tra le dita, mi sono osservato così miserabilmente imbecille davanti alla porta mentre le chiedevo di aprirsi. Per fortuna ero iperconnesso.
Cellulare in mano. Chiamo. Cammino. Scalzo. Sassolini sotto i piedi. Casa di parenti. Suono. Chiavi copia. Torno. Nulla. La chiave madre all’interno non consente di inserirne da fuori. Quell’atto mancato così prepotentemente individuativo mi condannava fuori dal mio stesso focolare. Espulso dalle cure per me medesimo, ho chiamato i pompieri.
Annoiati e divertiti, a sirene spiegate, 5 nerboruti paladini dell’anima, hanno fatto un baccano imbarazzante. Dalle finestre, in molti li hanno osservati riaprire quella porta. Poi sono andati via ridendo mentre io mi sentivo come una bimba a cui avevano recuperato il palloncino da un ramo. Mi sono messo sul divano, infreddolito e pieno di vergogna come un verme, intanto sgranavo il filo che mi legava a quel palloncino immaginale. Poi ho guardato la finestra e mi è venuta una gran voglia di uscire… sempre dalla finestra… amata e odiata finestra.
Poi lo specchio sulla parete mi ha restituito la mediocre immagine di un individuo che si rannicchia sotto un plaid con i colori della bandiera di Trump. Che poi nessuno capisce che quella della bandiera sul plaid è solo satira. Sogni d’oro.
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