Gravidanza: luci ed ombre
La gravidanza non è solo una dolce attesa, così come la madre non è solo nutrimento e accoglienza. “Le fantasie della gravidanza sono tutte ctonie. Tutte le donne incinte sono circondate da fantasmi”, scrive lo psicoanalista Fernando Risquez. È davvero così? Per rispondere guarderemo al mondo della gravidanza analizzandone gli immaginari più scuri, anch’essi presenti accanto alle immagini della gioia, della speranza e della bellezza con le quali siamo soliti identificare la gestazione.
Si fa presto a dire Demetra, la dea della preoccupazione
“Quello che amo mi ha detto che ha bisogno di me per questo ho cura di me stessa guardo dove cammino e temo che ogni goccia di pioggia mi possa uccidere” (Bertolt Brecht)
Il nostro ingresso nel rotondo immaginario della maternità non può non portarci nel territorio della dea Demetra. Per descriverla in maniera esaustiva non basterebbe un articolo perché Demetra è, prima del tempo e prima di tutto, la Grande Madre, Cerere, Iside, fecondità, accoglienza, vita. Insieme proveremo a guardarla dalla prospettiva della gravidanza; una prospettiva particolare perché nessun altro archetipo si offre così chiaramente alla vista in tutta la potenza della sua attivazione. Scaraventata al cospetto di Demetra e dalla dea presto conquistata, la donna acquista fattezze fisiche e psichiche che mai avrebbe creduto possibile sperimentare. Esattamente come nel corpo si muove qualcosa di nuovo allo stesso modo la psiche si muove in territori sconosciuti. Il primo immaginario che annuncia l’arrivo della dea Demetra è quello della preoccupazione. Non l’accoglienza, né la dolcezza, ma la feroce preoccupazione per sé e per gli altri. “Vai piano in macchina, chiamami quando esci da lavoro, ti senti bene? hai mangiato? come farei senza di te, non posso vivere senza di te, non morire”. Non morire? Pensiamo al povero giovane padre: anche lui conosce Demetra – gli immaginari non fanno differenze di genere – così come conosce sua madre, ma che diamine, chi ha mangiato la spensierata fanciulla con la quale il mese prima correva in moto? Caro ragazzo, Demetra si mangia tutto, ha una fame archetipica, è talmente rotonda e immensa, e indispensabile, e primigenia, che prima che tu te ne sia accorto avrà mangiato anche te. Demetra ha sempre, archetipicamente, la preoccupazione di perdere qualcosa. Demetra rifugge qualunque tipo di mancanza, e lo fa a suo modo, esagerando tutto, ingigantendo tutto, perché la mancanza è, per lei, quanto di più pauroso possa esserci. Mentre l’utero si chiude e trattiene, placenta e feto, sangue e speranza, la donna impara l’arte del trattenere, e non vuole più perdere niente, niente deve più morire. La preoccupazione invade vari campi, ad esempio ogni donna incinta sarà preoccupata di non essere abbastanza: abbastanza brava, abbastanza forte, abbastanza pronta, abbastanza riposata e abbastanza attiva, abbastanza Demetra, abbastanza divina. È in questo delicato momento che spesso vediamo diventare tesi i rapporti tra nuore e suocere. La donna, sotto l’egida di Demetra, tenderà a proiettare il giudizio del “non sei abbastanza” all’esterno e vivrà come una critica qualsivoglia osservazione o consiglio.
La dea della natura, abbondanza di fiori milioni di animali di alberi e insetti, si attiva nella giovane madre, che tenterà di mettere in scena, a suo modo, l’abbastanza e l’abbondanza – pensiamo a quanto sia facile far spendere una donna incinta, il marketing lo sa e infatti un passeggino potrebbe costare quanto un’automobile, o giù di lì. Demetra accoglie tutto, mangia tutto, dicevamo, non butta via niente, tanto che uno dei suoi animali sacri è proprio il maiale. D’altronde non potrebbe essere altrimenti, basta affacciare lo sguardo sulle ragioni del corpo. L’archetipo Demetra, come tutti gli archetipi, ha la sua base nell’istinto e l’istinto fa sì che il corpo della donna incinta si attivi su vari fronti: per trattenere, abbiamo detto, ma anche per proteggere attraverso, ad esempio, il modificarsi del ritmo sonno-veglia, l’olfatto esagerato, il corpo in allerta. Eccola la perfezione della natura, che si attiva per permettere la prosecuzione della specie – che compito immenso sulle spalle della donna, sulla sua pelle, dentro le sue viscere. Da Demetra dipende il vivere del mondo. Poi ditele ancora di non preoccuparsi troppo.
Si fa presto a dire Demetra, gli immaginari ctoni
Demetra porta con sé anche altro perché chi pensa che il Dio, l‘archetipo, si presenti da solo non sta tenendo in considerazione che, minimo minimo, l’archetipo si porta dietro la sua ombra. Così come accanto alla madre buona alberga sempre anche la mamma cattiva, accanto alla donna alla quale cresce la pancia c’è anche la madre in lutto: è archetipico, non può essere altrimenti. Demetra è arrivata e la donna è già madre, lo è già quando Demetra si affaccia nella fantasia del desiderio del figlio, sarà madre per sempre, anche se il figlio morirà. Vita e morte si nutrono dello stesso respiro, in questo caso dello stesso corpo di donna. Per fortuna intervengono anche altri ormoni e altri immaginari, perché poi, al fondo di queste preoccupazioni la donna avverte una forza mai avuta, o almeno mai contattata. Descriverla è impresa ardua. Assomiglia ad una base di fiducia, che permette che le preoccupazioni non cadano troppo in profondità, come se la profondità fosse a un tratto occupata e vivibile, come se si fosse acquietata l’angoscia a favore di preoccupazioni più supere, più mattutine. Limitiamoci a dire che la donna incinta sta bene e, nonostante i pianti improvvisi e le preoccupazioni, è in contatto con una forza altra, che va ad aggiungersi a quella specifica di Demetra. I greci la chiamavano Kratos e mentre ne parliamo stiamo nominando Ecate. Ecate è la vecchia, essa completa l’immagine del femminile nel trinomio Kore – Demetra – Ecate. È stata cercata per anni, chiamata strega, messa al rogo, ma Ecate vive ancora, proprio nell’estrema forza della verità che lega il mistero della vita a quello della morte. Nessun immaginario – ricordiamolo – è malefico di per sé, dipende sempre da quale prospettiva lo stiamo guardando. Per calarci in Ecate abbassiamo la luce, la vedremo arrivare con una lanterna – che ci ricorda che è anche lei è Persefone, portatrice di luce – oppure la sentiremo ululare nella notte, nei crocevia, che sono i suoi luoghi d’anima. Ecate, la cagna che guida nelle discese, è lei che guida Demetra e la donna nelle nere profondità permettendo alla giovane madre di contattare la forza e la saggezza dalle quali nasce la vita.
Si fa presto a dire Demetra, sogni e incubi
Come psicoterapeuta ho avuto modo di ascoltare molti sogni di donne incinte e non posso che trovarmi in accordo con Risquez sul come spesso arrivino incubi a raccontare fantasie di morte, perdite, sangue, guerre, agnelli sgozzati, feti abortiti. I sogni parlano di una psiche che rinuncia, almeno per il momento, alla leggerezza, all’innocenza e ai suoi teneri agnelli. Perché l’innocenza non appartiene alla maternità e la donna diventando madre diverrà responsabile di tutte le cose, quelle belle e quelle brutte: l’innocenza è proprio ciò che scompare, per il momento. Ogni immaginario segue, nel corso della vita, vari processi individuativi e nei sogni delle donne incinte si presentano le putrefazioni e le nigredo di quegli immaginari che perdono le loro energie a favore di Demetra. “Ogni inizio è un trauma conclusivo, qualcosa che poteva essere ed è stato” scrive Enrico Macioci, aiutandoci a capire che il passaggio dal mondo della possibilità al mondo della concretezza attiva immaginari di morte, perché nel momento in cui un immaginario diventa carne fa fuori altri immaginari che non possono incarnarsi in quello stesso momento. Chiaramente non solo da incubi è popolato il mondo dei sogni della donna in gravidanza. Tante, abbondanti e vivide, sono le immagini che lo costellano. In parte credo anche che le immagini oniriche di cui la donna si fa portatrice non appartengano solo alla donna, ma anche al feto stesso, come se insieme alle cellule che prendono vita e forma all’interno dell’utero ci sia anche il prendere vita della psiche, che nel mito platonico di Er, tanto caro ad Hillman, discende nel corpo in formazione per compiere il suo passaggio sulla terra. La madre e il bambino sono una diade strutturata archetipicamente, e in quanto diade sono serrati insieme, e la natura stessa della diade influenza entrambi.
Si fa presto a dire Demetra, conclusioni
Arriviamo alle conclusioni, anche se Demetra non ci farebbe finire mai.
Siamo soliti guardare agli aspetti più belli e rosa della gravidanza, ma ci sono anche immaginari neri e inferi che accompagnano l’arrivo della maternità. Ogni madre li conosce, e visto che sappiamo che la gestazione non è aspetto esclusivo della donna ma che ci troviamo in gestazione ogni volta che stiamo creando e dando vita a qualcosa, ognuno di noi è passato e passerà per l’attivazione di Demetra. Credo possa essere utile parlare degli aspetti più inferi della gestazione, perché ogni donna crede di essere l’unica portatrice di tante “stranezze”, mentre quanto appena descritto è proprio parte fondamentale del processo. Anche la preoccupazione, qualunque essa sia, inserita nell’immaginario della maternità, acquista nuovo senso, e riconoscendo Demetra in atto possiamo forse provare a guardare con nuovi occhi quel “non abbastanza” che la gravidanza porta con sé, con le paure, i complessi desideri di portare avanti maternità e carriera, gli immaginari ipocondriaci e gli incubi.
Care giovani madri, non c’è niente di sbagliato, è “solo” Demetra che fa il suo immenso dovere.
P.S. CLICCA QUI per leggere Rinunciare alla solitudine: essere un padre
Questo post mi accende la cognizione che la donna in questo momento così delicato viene assalita da così tanti dubbi, certezze, incertezze, debolezze, ansie, aspettative, bellezze, amori, odi … che portano con se la grande difficoltà a gestirle … è il momento in cui la donna viene messa alla prova dalla vita stessa, che ha il suo culmine con il parto, che porta la stessa all’estremo limite di impulsività fisica, dovendo sottomettersi all’azione potente della natura. Quindi da uomo non posso far altro che amare le donne per questo, per averci donato la forza della vita.