Lazza.
Il brano di Lazza, Cenere, presentato al Festival di Sanremo 2023, ci racconta a primo impatto di un’evidente crisi di coppia.
Cenere ci descrive, retrospettivamente, un bisogno più profondo che ci fa presagire la crisi: il bisogno psicologico di andare in pezzi. Necessità che irrimediabilmente, come una chiamata, emerge dall’anima.
Passiamo quindi adesso a leggere in trasparenza Cenere, a cogliere l’aspetto immaginale del brano, a mettere in luce come si presenti in noi la necessità del rinnovamento psicologico.
Ho paura.
Ho paura, così prende vita questo potente e inteso brano di Lazza. Sì, perché quando iniziamo a presagire una fine, quando l’anima inizia ad inviarci sottili segnali che una qualche relazione o esperienza emotivamente importante ha bisogno di concludersi, innanzitutto avvertiamo paura.
Chi siamo stati? Chi stiamo diventando? Non lo sappiamo.
La magia, la favola, ormai si è conclusa, non riusciamo più a fantasticare oltre e, soprattutto, non ci riconosciamo più rispetto a quello che siamo stati quando l’esperienza o la relazione aveva raggiunto il suo punto più alto. L’anima ci urla dall’interno un capolinea ormai inevitabile.
Come diceva Pavese: “Niente è più inabitabile di un posto dove siamo stati felici”. Ed iniziamo così ad avvertire che quel posto ha smesso di appartenerci e che qualcosa dentro di noi ci invita alla fuga.
Siamo in preda alla confusione e sentiamo il bisogno di andare in pezzi. Viviamo dentro come un silenzio che ha il sapore della perdita, che ci segnala il declino di una parte di noi stessi.
Cenere.
Ed è qui, nel potente e passionale ritornello di Lazza, che avvertiamo tutta la drammaticità della rottura che ci chiama a gran voce.
L’etimologia della parola ‘cenere’ ci rimanda a ‘polvere’, che a sua volta ci rimanda a ‘polline’. Quando qualcosa è giunto al termine è tempo che ci si inizi a preparare a qualcosa di nuovo, ad una nuova fecondazione, a nuove esperienze, a nuove relazioni.
Abbiamo bisogno di “morire” e basta, per quello che sarà dopo non è ancora il momento di preoccuparsene.
Aiutami a sparire, mi sento un nodo alla gola, Lazza le urla queste due frasi, con disperazione e bisogno di tornare a respirare. Perché infatti ci proviene proprio dall’interno questa necessità psicologica di andare in pezzi, di mettere fine a tutto, di essere spazzati via. Ci sentiamo soffocare in quel luogo, in quella relazione, e qualcosa ci sollecita ad andare via e salvarci.
Nel buio balli da sola, è quella parte di noi che sembra ormai un residuo sconnesso da tutto e che penzola, uno scarto che necessita di trasformarsi nella psiche.
E solo quando attraversiamo la morte di parti di noi sappiamo dire cosa significhi davvero compiere questo transito, quando siamo chiamati ad andare oltre, quando siamo noi a desiderare la conclusione… e a metterla alla fine in atto.
Mi sento l’ultimo.
Fa impressione, è qualcosa che rimanda sempre ad un senso più ampio e profondo dell’esistenza.
Possiamo esserci realizzati pienamente in tutti gli ambiti della nostra vita, ma quando un’esperienza significativa giunge al termine ci sentiamo gli ultimi come persone. Davanti alle morti psicologiche nessun potere, neanche i soldi, possono mitigare la desolazione interiore che proviamo.
E se inizialmente facciamo pronostici su come “gestire” la dinamica che stiamo vivendo, alla fine non ci resta altro che arrenderci, diventare Cenere: andare in pezzi.
Facciamo l’odio.
Quando l’amore finisce, quando è tempo di cambiare lavoro o citta, quando dobbiamo superare limiti interiori, quando siamo diventati Cenere, quando siamo andati in pezzi, non siamo più “in amore” con noi stessi.
Siamo anzi “in odio”, disprezziamo tutti e tutto, compresi noi stessi. In certi momenti siamo distanti, schifati da ciò che viviamo… ma non possiamo non guardare.
Perché, come ci ricorda spesso Raffaele Morelli, è proprio l’occhio, il guardare, il prendere consapevolezza, che scatena in noi la maggior sofferenza, ma è anche l’unica soluzione per riuscire ad andare oltre.
Sei la terapia.
Quando sentiamo il bisogno psicologico di andare in pezzi, di cambiare, non vorremmo sentire certe emozioni, certi stati d’animo, essere invasi da certi pensieri. Sembriamo dire a quel che viviamo “Vai via! Non ce la faccio più!”.
Ma è proprio questo vissuto ad essere invece terapeutico, è il passaggio fondamentale, è ciò che dobbiamo attraversare per guarire, per andare in pezzi e rinascere come un’araba fenice… dalla Cenere.
Venere e Mercurio.
Ad un certo punto, auspicabilmente, se avremo saputo sopportare, sublimare e lasciar agire terapeuticamente il processo della perdita, ci sembrerà di iniziare a vedere all’orizzonte lei: Venere.
Afrodite per i greci, quando si manifesta è portatrice di rinnovamento e rinascita. Come i primi raggi più caldi della primavera che iniziamo ad intravedere in lontananza, Venere si appresta a portarci un nuovo inizio.
E mentre l’anima ci avvisa da una parte del superamento, dall’altra siamo ancora mercuriali, preda del dio Mercurio, siamo ancora come ammalati.
E sentiamo il bisogno di lasciare andare nel buio quelle parole, ovvero tutto ciò che è ormai vecchio e inutile.
Come Cenere dobbiamo disperderci, andare in pezzi, per poterci rinnovare e tornare integri.
Conclusione.
Quando siamo andati in pezzi a livello psicologico, siamo giunti alla fine di un Viaggio personale e sentiamo di doverne intraprendere uno nuovo.
Ed è proprio qui che l’archetipo del Distruttore entra in funzione.
Come ci ricorda Carol S. Pearson, psicoanalista junghiana, “rispondendo alla chiamata e mettendoci in Viaggio, ci troviamo presto a sperimentare la privazione e la sofferenza, poiché il Distruttore ci toglie molto che ci era sembrato essenziale per vivere” [‘Risvegliare l’eroe dentro di noi. Dodici archetipi per trovare noi stessi’, pag. 21].
Non ci resta quindi che lasciarci spazzare via… come Cenere.