Nel dare forma alla nostra vita, siamo la stecca da biliardo, il giocatore o la palla? Siamo noi a giocare, o è con noi che si gioca? (Zygmunt Bauman)
Alex Zanardi ha una storia incredibile. La sua storia è il racconto di una persona con un grande talento sportivo, ma, ancor più, è il racconto di una persona che ha scelto di non arrendersi mai. Una persona che sceglie di cambiare il proprio destino. “Ha fatto della disabilità una lezione di umanità”; con queste parole affidate a un giornale sportivo, papa Francesco ha inviato un messaggio di vicinanza alla famiglia del campione, nella sua ennesima prova di resistenza di fronte alle sfide (assurde) della vita.
Nella storia di Zanardi, nella sua voglia di vivere, nella sua capacità, almeno esteriore, di rialzarsi da ogni caduta, ci sono dei segni psicologici che non possono lasciare indifferenti. C’è l’esempio migliore per capire che l’umanità può essere padrona del proprio destino.
Il destino e la sua umanizzazione
Nessuno è nato sotto una cattiva stella; ci sono semmai uomini che guardano male il cielo (Dalai Lama)
Vivere per lo sport, a volte, può significare morire per lo sport. Può valere lo stesso per chiunque dedichi la propria esistenza a un compito specifico, a una missione. Pensate ad esempio ai musicisti dell’orchestra sul Titanic: scelgono di morire suonando, fino all’ultimo momento utile. Sì, perché la passione viscerale e umana, a volte, richiede il sacrificio della intera vita.
Gli sportivi, ad esempio, sanno che il loro corpo, la loro mente, la loro vita avranno tutti una nuova forma: lo sport ti cambia, ti assorbe. Ha regole e stili di comportamento. Ha età tutte sue. Pensate ai calciatori: a poco più di 30 anni vengono considerati ormai vecchi. Ed è così per tutti gli sport agonistici. Un destino molto più breve della vita delle persone comuni. Una vita sportiva destinata a morire, o a cambiare radicalmente, nel giro di qualche manciata di anni.
Le donne e gli uomini che vivono di passioni dovrebbero essere abituati a “cogliere l’attimo”, a immergersi in tempi scanditi e delimitati. Molti rischiano di sentirsi intrappolati nel limbo dell’anonimato e della frustrazione quando la loro carriera volge al termine o non decolla verso i successi sperati. Molti altri trovano l’energia per “cambiare vita”, senza rinnegare la loro passione. Alcuni sportivi a fine carriera si trasformano così in architetti del cambiamento, in architetti della vita. E danno una dimostrazione di vita: l’umanità ha sì un proprio destino, ma tutto da scrivere.
Zanardi l’ha dimostrato. Dopo un terribile incidente durante una corsa, dopo che la sua passione-lavoro gli chiese di sacrificare le gambe, si è rialzato. Con gambe artificiali, ha modificato la forza del proprio corpo e ha fatto della sua vita un messaggio di lotta. Un convinto grido a combattere. E non ha abbandonato la sua passione, non ha abbandonato lo sport. Ha trasformato la sua esistenza. E pochi giorni fa, dopo un nuovo incidente durante una gara di handbike, abbiamo ritrovato il suo nome e la sua storia sui giornali: ancora una volta un uomo, un atleta di passione che sfida quello che sembra essere il suo destino. Una sfida che sta dando già frutti insperati: l’ennesimo urlo per dire al mondo che il destino può essere disegnato dall’umanità.
Credere o non credere al destino
Ho notato che anche le persone che affermano che tutto è già scritto e che non possiamo far nulla per cambiare il destino, si guardano intorno prima di attraversare la strada (Stephen Hawking)
La scorsa settimana ho provato a descrivere qualche domanda sulle profezie. In modo molto simile, spesso mi chiedo come sia possibile integrare le scelte che ognuno di noi compie ogni giorno con l’idea che il nostro destino sia già scritto. Il nuovo incidente di Zanardi richiama l’idea di alcune massime molto comuni: “piove sempre sul bagnato”, “la lingua batte dove il dente duole”, “chi nasce tondo non può morire quadrato” e così via. Dietro queste frasi c’è il senso di immobilismo, c’è l’idea che, per quanto possiamo impegnarci con tutte le nostre forze, cambierà ben poco nella nostra vita. In diverse religioni e filosofie orientali, c’è un’idea diversa del senso delle nostre azioni: la convinzione karmica che ciò che facciamo nella nostra vita influenzerà inevitabilmente la nostra vita futura. Nel cattolicesimo c’è una frase ambigua che ricorre spesso nella spiegazione del rapporto con Dio: “non si muove foglia che Dio non voglia”. Con una frase del genere, se condivisa, si palesa l’annullamento del libero arbitrio. È come se sparisse la possibilità per gli esseri umani di poter scrivere la propria vita. Fortunatamente, anche nel cattolicesimo stesso, questa convinzione non è poi così radicale. In altre parole, c’è un’ampia libertà di interpretazione.
Ed eccoci arrivati ad una parola chiave così bella: libertà. Libertà e destino sono concetti psicologicamente antitetici. Se sono libera/o non posso essere costretta/o nei confini di un destino già determinato. Ognuno di noi ha il potere della propria vita. Anche se questa non dipende solo da noi. Ognuno di noi è inserito in un sistema. Che sia un sistema di relazioni, un sistema fisico, un sistema sociale o politico, la nostra vita dipende irrimediabilmente dalla relazione con gli altri. Probabilmente, il nostro inserimento in uno o più sistemi condiziona la nostra capacità di sentirci del tutto liberi o padroni della nostra vita.
Nell’amore per l’altro, nell’amore per una passione, nell’amore umano e viscerale, possiamo trovare l’esempio più vero per l’antitesi fra libertà e destino. Quando siamo innamorati di qualcosa o di qualcuno, accettiamo di appartenere a questa passione. “Sono tua/o” è un’espressione che più o meno consapevolmente ammettiamo quando siamo davvero innamorati. “Totus tuus” era il motto di papa Giovanni Paolo II. L’amore per la passione, che sia sportiva o artistica o verso una persona, condiziona le nostre scelte, i nostri comportamenti, i nostri pensieri. E inevitabilmente abdichiamo alla nostra libertà. La dinamica rivoluzionaria risiede, come sempre, nella consapevolezza della nostra scelta. Si può integrare una passione viscerale nella nostra vita. Il nostro Io si vestirebbe in questo modo della nostra passione. E il destino, a sua volta, diventa un corollario non di un’entità sovrumana, ma della nostra passione. E se “passione” ha la stessa radice di “patior” (“soffrire”), poco importa: scegliamo di rischiare di soffrire per amore.
Conclusioni
Rendi cosciente l’inconscio, altrimenti sarà l’inconscio a guidare la tua vita e tu lo chiamerai destino (Carl Gustav Jung)
Tra destino e libertà risiede una battaglia dell’anima. Tra queste due entità esiste il confronto implacabile fra la saggezza di un saggio che prova a conoscere le risposte della vita e le (dis-)avventure di una vita. La vita, questa realtà misteriosa come la Grande Madre. E ancora possiamo scorgere la lotta tra chi lotta per superare le difficoltà di ogni giorno e il nostro puer interiore che urla e scalcia per avere la possibilità di esprimersi e di vincere le nostre resistenze. Chi vive di passione ha l’opportunità di essere architetto della propria vita. Vivere di passione è lo schiaffo più bello che si può dare alla convinzione di alcuni sulla “malasorte”. Vivere di passioni, dedicare una vita alla passione che sa descriverci meglio, è un viaggio difficile, incredibilmente difficile, ma che dà l’opportunità di scorgere panorami tanto belli, da non poter essere descritti. A ognuno di noi, l’augurio di poter vivere di passione e di poter scorgere lo splendido panorama del sentirsi liberi di essere architetti della propria vita.
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