Psicologia del complottismo
Quali sono le caratteristiche psicologiche di un complottista?
Quando ci troviamo in una discussione con un complottista, abbiamo la sensazione di infrangerci perpetuamente contro un muro o di essere chiusi in un vicolo cieco.
Il complottismo, in psicologia, rientra nella patologizzazione paranoica, ovvero un delirio cronico basato su un sistema di convinzioni e schemi a tema persecutorio.
James Hillman a tal proposito, in La vana fuga degli dei, ci racconta questa storia:
Un uomo è convinto di essere morto e dice, con assoluta certezza, al suo medico curante: “Sono morto”. Tra i due inizia subito un’aspra discussione, il medico fa appello ai sentimenti dell’uomo verso la famiglia, verso la vita, ma non ottiene nessun risultato. Il medico, poi, per indurlo a maggiore ragionevolezza fa notare l’intrinseca contraddizione di una frase “sono morto”, per il semplice motivo che un morto non può essere in grado di dire di essere morto. Ma anche queste argomentazioni del medico non sortiscono nessun effetto. Ormai spazientito, il medico chiede: “I morti sanguinano?”. “Certo che no”, risponde con un che di irritazione il paziente, sottolineando come tutti sanno che i morti non sanguinano. Allora, improvvisamente, il medico punge un dito del paziente e da quest’ultimo esce una goccia di sangue, ma dinnanzi a tutto ciò il paziente esclama stupito: “Dottore, chi l’avrebbe mai detto, ma anche i morti sanguinano.”
Da questa storia emerge un concetto che ci sarà utile per capire la psicologia del complottista: l’apofenia come strumento per dare senso ad una realtà inaccettabile.
L’apofenia
L’apofenia (dal greco mettere in luce) è la capacità di riconoscere schemi e sequenze in dati senza alcun senso. Conrad, nel 1958, la definì come un’immotivata visione di connessioni, di una distorsione soggettiva dell’osservatore e di un’interpretazione degli eventi attraverso una lente personale.
Il complottista ha un’alta capacità apofenica e individua nella realtà schemi e connessioni dei quali possa sentirsi padrone e che possano permettergli di accettare l’inaccettabile.
Arrivati a questo punto dobbiamo chiederci: perché il complottista utilizza l’apofenia?
Apofenia, paranoia e fragilità
Per rispondere a questa domanda dobbiamo parlare di complotto come forma paranoica dell’esistenza.
Ci sono stati diversi studi riguardanti la paranoia: Freud suggeriva che la paranoia era un disturbo della sessualità rimossa, Jung parlava di paranoia come di una scissione dall’immagine di Dio, Hillman come un disturbo del significato.
Il complottismo porta con sé il tarlo della paranoia che si insinua in ognuno di noi e, nelle persone più fragili, diventa una realtà alternativa strutturata. Più le persone sono fragili, maggiormente sarà strutturato il delirio paranoico.
Un individuo fragile, per affrontare un problema, non può attingere alle proprie risorse e non può affidarsi agli altri. Per questo motivo, impaurito dalla propria incapacità, si ritrova isolato dal mondo e da se stesso.
Come nota Laing, la manovra principale cui si ricorre per conservare l’identità quando si vive nel timore del risucchio consiste nell’isolarsi, nel potenziare l’autonomia individuale attraverso l’isolamento e la solitudine. (A. O. Ferraris, Psicologia della paura, p. 167).
Ecco la lente apofenica del complottista: la conservazione dell’identità di fronte al caos del mondo, l’incapacità di gestire un mondo così complesso e pertanto il conseguente isolamento.
Vi propongo due dati psicologici che ci possono far capire la profondità dell’isolamento di un complottista.
Controtransfert
Il primo è quello che, uscendo dal significato del setting analitico, possiamo chiamare controtransfert. Utilizzo la parola controtransfert per descrivere la reazione emotiva che proviamo nell’ascoltare una persona.
Quando cerchiamo di far ragionare i complottisti sentiamo di essere soli, senza un interlocutore in grado di stare in relazione con noi. Questo è il controtransfert.
Non dobbiamo ignorare il senso di solitudine che proviamo, perché questa dinamica è proprio quella che possiamo ritrovare nella Psiche dei complottisti: una Psiche isolata, che non ha relazioni con il mondo reale e con le altre parti di sé, ovvero che non possiede contraddittori.
Il complottista costruisce una teoria isolata e invalicabile della propria paranoia per proteggersi dal mondo e dai suoi pericoli.
Etimologia
Il secondo dato è l’etimologia della parola complottista che ci permette di inserire un altro tassello in questo discorso. Andando all’origine della parola, e compiendo una mossa di Ta’wil (H. Corbin), ci muoveremo a ritroso attraverso il suo “inconscio”.
Complotto, etimologicamente, significa complice, avvolgere insieme. Pertanto il complotto rappresenta il tentativo di “avvolgere insieme” una realtà frammentata che fa sentire isolato e incompleto il complottista.
Il complottista, infatti, è una persona incompleta (Janet 1889), intimamente isolata e scissa dalle altre parti di sé e del mondo. Esso diventa monolitico nelle argomentazioni perché non può sopportare la pluralità della Psiche e si sente incapace di fronte alla complessità del mondo. Dentro di lui non c’è spazio per l’ambivalenza, per il vero dubbio, e in questo modo protegge la sua estrema fragilità e il senso di inferiorità.
La semplicità della spiegazione complottistica risiede nel costruire una realtà attraverso un’unica lente di ingrandimento: la propria paura di essere “usato”. In realtà il mondo è una complessità di più punti di vista e per lui questa dinamica è ingestibile perché pericolosa per la propria integrità .
Conclusioni
Solo i paranoici sopravvivono (A. Groove)
La paranoia, sotto forma di complotto, non va sminuito, ma va preso sul serio come sintomo della società contemporanea. Viviamo in un periodo storico nel quale ogni giorno emergono le più svariate teorie complottistiche. Questo fenomeno è causato dall’alienazione collettiva alla quale siamo costantemente sottoposti (W. Giegerich, Alchimia della storia, p. 135).
La nostra Psiche, la nostra Anima, si sta distaccando dalla realtà perché non riesce a seguire i tempi iper-veloci del progresso. In questo modo subiamo una scissione interiore e l’individualismo del mondo moderno ne è un sintomo. Ogni uomo è Dio di se stesso, isolato dal resto e dagli altri.
Il complottista utilizza l’apofenia come strumento per gestire l’incapacità ad affrontare la realtà che gli viene proposta, allora ne crea un’altra, più semplice da vivere, monolitica, dove possa sentirsi Dio di se stesso, al sicuro da un mondo minaccioso.
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