“Ricordiamoci che ai nostri nonni fu ordinato di andare in guerra… a noi stanno chiedendo di stare seduti sul divano”.
Così leggevo qualche giorno fa in un post che mi ha fatto ridere e riflettere. L’idea di mettere a paragone la chiamata alle armi con la chiamata ai divani mi è parsa molto ironica e di conseguenza ricca di una verità sottostante che nei giorni si è resa sempre più evidente.
La situazione che stiamo vivendo è stata assimilata a tutti gli effetti alla guerra. Da analogia siamo passati in pochissimo tempo a un’identità di significato con la conseguenza che anche i fatti si stanno adeguando completamente a uno stato di guerra. Perché? Cosa significa?
La prima risposta potrebbe essere data dal fatto che la pandemia è priva di un linguaggio proprio, è un’ente immaginale a noi sconosciuto e troppo lontano, non possediamo terminologie e campi semantici su cui costruire modi di dire e descrizioni appropriate. Questa ipotesi mi ha convinto in parte, specialmente allorché l’emergenza ha iniziato a diventare talmente vasta che le misure adottate sono diventate a tutti gli effetti misure marziali. Prima la Protezione Civile, poi l’Esercito, poi le restrizioni nei movimenti simili al coprifuoco, infine la retorica nazionale con bandiere e discorsi al popolo a cui viene richiesto un sacrificio per il bene collettivo.
Come lo vuoi chiamare tutto questo se non guerra?
No. Con la guerra non ha niente a che fare, la guerra è ben altra cosa, non è possibile metterle sullo stesso piano almeno per quello che riguarda la devastazione e gli orrori. “Qui non servono cannoni ma medicine, respiratori, posti letto, medici, infermieri, auto-disciplina (A. Negri, 21/3/2020, notizie.tiscali.it).”
Per essere più preciso, lo chiamerei stato marziale, una situazione sociale in cui entra in vigore la disciplina e le restrizioni tipiche di uno scenario bellico per serrare i ranghi e formare l’uniformità necessaria a costruire una catena di comando efficiente con capacità di esercitare azioni coordinate su vasta scala. Si parla di una retorica della guerra per criticare questo riferimento continuo, ma cos’è che la muove? C’è una strategia comunicativa deliberata? Io non credo, penso invece che i paragoni bellici si siano iniziati a usare perché sono il termine che dà l’idea della gravità di quello che sta succedendo. La guerra come idea si è insinuata a descrivere l’impatto distruttivo che la pandemia ha avuto sulla nostra quotidianità, sugli affetti e sull’economia. La situazione è vissuta e sentita come una guerra, da cui ne emergono le rappresentazioni. Vediamone alcune.
La guerra prevede un esercito
Il vero esercito che oggi combatte la guerra virale è il Sistema Sanitario Nazionale.
“Così, gli infermieri e tutto il personale paramedico possono essere paragonati ai fanti, ai soldati. I medici di base agli ufficiali di base, come tenenti e capitani. I primari degli ospedali possono essere paragonati a colonnelli e generali, i responsabili delle strategie ai generali d’alto rango. L’Istituto Superiore della Sanità è paragonabile al comando generale, allo Stato Maggiore. E la Protezione Civile al braccio logistico di intervento, anch’esso con tutta la sua organizzazione di ruoli e competenze (maredolce.com Gabriele Bonafede Marzo 19, 2020)”.
Infine non escluderei il personale dei supermercati e delle farmacie anch’essi in prima linea.
La guerra prevede un nemico e un fronte
Il nemico di questa guerra si chiama covid-19. La prima linea sono gli ospedali che cercano di proteggere un combattimento a tutto campo. Il virus si espande attaccando le popolazioni senza distinzione tra civili e militari, tutti possono essere colpiti. Esso agisce attraverso forme subdole d’insinuazione nei confini dei territori attaccati espandendosi soprattutto mediante gli asintomatici, persone infette che non lo sanno e che girano liberamente senza protezioni. È un tipo di guerra ipermoderna, senza limiti né codici d’onore, senza convenzioni di Ginevra e senza dichiarazione di resa. È una guerra all’ultimo sangue.
La guerra prevede un armamento e una strategia
Questo è il punto dolente. Mancano i mezzi di protezione, mancano le attrezzature per curare i feriti, i malati. È una lotta continua alla ricerca di presidi medici a cui segue la conversione dei mezzi di produzione per generare le armi, tecnologie di rianimazione, mascherine. C’è poi la corsa all’arma di distruzione finale, il vaccino, perseguita da più di venticinque laboratori in tutto il mondo. La strategia in atto per combattere è ricondotta alla forma più elementare di non-corpo a corpo: la quarantena, la chiusura delle frontiere e della circolazione di mezzi e persone.
La guerra prevede un addestramento, una propaganda e una coscrizione
La strategia per poter funzionare richiede una formazione valida non solo del personale medico ma anche della popolazione. Questo è il disperato e drammatico continuo messaggio mandato ai cittadini, il restate a casa che stenta a essere applicato con la conseguenza di attivare regimi di rigore e sanzioni sempre più severi, la legge marziale. Ci saranno pertanto i pacifisti -andrà tutto bene-, i renitenti alla leva -corsetta trallalà-, gli obiettori -no alla fascistizzazione!-. Infine è arrivato l’arruolamento: medici da tutta Italia hanno risposto al drammatico ‘I want you’ per accorrere in soccorso della Lombardia dimostrando senso etico, coraggio e amor di patria.
La guerra limita la libertà personale e i diritti
Siamo in una democrazia, eppure ogni volta che viene proclamato uno nuovo decreto viene il dubbio se la procedura con cui si è formulato sia istituzionalmente valida. Ci vengono imposte limitazioni agli spostamenti, l’obbligo di dimora e viene legittimato il controllo in ogni modo sulla nostra vita privata. In tempo di guerra nell’antica Grecia prendeva il potere il tiranno, un super commissario che raccoglieva i poteri. Il rischio era che a volte il tiranno non lasciava il suo posto.
La guerra ha le sue battaglie
Il fronte del Nord Italia è l’attuale scenario critico della guerra sul territorio nazionale. La Lombardia è la zona colpita dalle battaglie più sanguinose in corso. Bergamo, Brescia, Cremona, il Lodigiano, ogni città diventa luogo di scontri che riporta il triste resoconto giornaliero di vittime. Milano viene presentata come roccaforte e baluardo che si cerca di difendere a tutti i costi. Scendendo poi per l’Italia ogni regione ha il suo teatro di guerra proprio come se si stesse combattendo contro l’invasione nazista. Alla fine, arriva il bollettino nazionale delle 18,00, con l’attesa e la speranza che le azioni fatte abbiano sortito un qualche effetto sull’impennata della curva dei contagi.
Lo scenario internazionale
Fuori dall’Italia ogni nazione combatte a suo modo la guerra mentre la tela dell’economia collega tutto determinando il peso di scelte drastiche sulle forze umane da sacrificare. Come nel piccolo, c’è sospetto e solidarietà, c’è l’egoismo e il disinteresse, escono fuori i caratteri dei popoli.
I caduti, gli eroi e le vittime.
I medici in prima linea, il personale infermieristico, gli operatori del 118, coloro che sacrificano la vita nell’esercizio dei propri doveri. Sono i soldati odierni, inevitabilmente contagiati perché esposti al fuoco nemico. Loro sono il corrispettivo del caduto, coloro ai quali verrà eretto un nuovo monumento. Infine i morti, troppi, ingiustamente. La guerra è morte, gli innocenti pagano sempre il prezzo dei danni prodotti da altri. La responsabilità in guerra diventa immediata, ogni azione può avere ripercussioni sugli altri nel bene e nel male.
Conclusioni. Accogliere l’anima marziale
Di certo la guerra, quella vera come in Siria o in Libia, è ben diversa dalle sofferenze che il nostro paese sta attraversando. Ma questo non minimizza né riduce una situazione sanitaria ed economica catastrofica che sul piano psicologico ha evocato lo stato d’animo di chi è in una guerra.
In questo senso si parla di anima marziale che va accolta. Hillman, con il suo stile iperbolico, parla di un amore per la guerra
“… in base al principio metodologico della psicologia secondo cui qualunque fenomeno, per essere compreso, deve essere immaginato empaticamente. Per conoscere la guerra dobbiamo entrare nell’amore per la guerra (J. Hillman, Fuochi Blu, Adelphi, Milano, 1996, p. 265-66)”.
La psicologia archetipica ci parla di un’anima marziale per individuare gli immaginari della guerra che si attivano per tendere a un preciso e definito fine. Accogliere l’anima marziale potrebbe significare entrare finalmente in un ordine d’idee coerente con la gravità della situazione, non perdere più tempo con le sciocchezze e iniziare a capire che c’è da soffrire e da sopportare. Si deve tenere duro e lottare.
Perché conoscendo la guerra possiamo capirne la necessità e, se possibile, limitarne gli esiti catastrofici. Cambiamo un termine: se conosciamo la pandemia possiamo capirne la necessità e, se possibile, limitarne gli esiti catastrofici.
P.S. CLICCA QUI per leggere il significato archetipico di #andràtuttobene