Pasqua: passare oltre le ferite dell’anima
La Pasqua come da tradizione etimologica è un passaggio, un passare oltre, in memoria del passaggio dell’angelo sterminatore in terra ebraica, e in memoria del passaggio dal deserto della vita alla vita celeste
In questo breve articolo, che vuole essere anche un augurio di buona Pasqua da parte mia, non voglio analizzare i soliti simboli Pasquali di resurrezione, rinascita, etc…
Voglio focalizzarmi sull’aspetto psicologico del passaggio e in particolare del passare oltre.
La Pasqua ontologicamente dovrebbe essere il momento nel quale riflettiamo su cosa significa per noi passare oltre. Quando bisogna passare oltre? Quando invece bisogna rimanere?
In particolare il passare oltre è spesso legato ad un torto subìto, o ad una ferita subìta. Alcune situazioni nella vita ci possono ferire, alcune persone ci possono ferire, alcune parole dette o non dette ci possono ferire. Le ferite o i cosiddetti traumi permangono nella nostra vita e, in parte, ci influenzano nel nostro agire quotidiano.
Alcuni episodi della nostra vita si trasformano in ferite. Possiamo sentirci trafitti da una parola o da un evento come Cristo venne trafitto da una lancia al costato; possiamo sentirci avvolti da una corona di spine, intrappolati nel dolore che ci impedisce di vedere chiaramente le cose; o infine possiamo portare una croce ed essere crocifissi ad essa, come una punizione o un pesante fardello da portare.
Cosa possiamo fare di fronte ad una ferita dell’anima?
La mitologia cristiana ci aiuta a rispondere a questa domanda.
I tre giorni di Cristo
Cristo ci mise ben tre giorni per passare oltre la morte, oltre il torto subìto. Perché? Cosa fece in quei tre giorni?
Ci sono diversi episodi biblici nei quali Dio punisce o salva qualcuno in tre giorni, come se fosse il tempo giusto entro il quale noi dobbiamo soffrire per rinascere. Questo non significa che debbano passare letteralmente tre giorni per passare oltre. Il numero tre deve essere preso come immagine da vedere in trasparenza [J. Hillman].
Ma è importante tenere in considerazione il numero tre, perché Gesù – secondo Tommaso – in quei tre giorni si recò nel mondo infero, ovvero nel limbo.
Relazionarci con le nostre ferite per passare oltre
Cosa accade a Cristo nell’attraversamento del mondo infero? Possiamo immaginare la risposta a questa domanda facendoci guidare da Virgilio e dal sommo poeta, Dante.
Dalla lettura “divina” della Divina Commedia possiamo estrapolare un modo per relazionarci con le nostre ferite per passare oltre:
Non ragioniam di loro ma guarda e passa direbbe Virgilio a Dante.
La Pasqua è proprio questo: guarda e passa.
Il guarda è una tappa necessaria perché non possiamo ignorare un evento traumatico o doloroso. Sia nelle piccole azioni quotidiane, sia nelle grandi svolte della nostra vita, l’evento traumatico ignorato, come ci ha insegnato Freud, riemerge sottoforma di sintomo. L’evento va guardato, ovvero ci dobbiamo mettere in guardia [etimo guardare], capirlo ed essere pronti a riceverlo di nuovo con le giuste difese.
Bisogna poi passare oltre, andare altrove e non fermarsi all’interno della ferita perché questo atteggiamento ci fa sprofondare nell’evento stesso, sovente portando un’infezione della ferita troppo sollecitata.
In conclusione, la mitologia cristiana ci permette di identificare i tre passaggi della relazione con la nostra ferita interiore. Quando veniamo feriti dobbiamo vivere la nostra Pasqua:
[1] è necessario morire di quella ferita;
[2] dobbiamo sostare nel mondo infero per “tre giorni”, in altre parole nel mondo delle immagini psichiche per esplorare la ferita;
infine [3] passare oltre.
Durante la nostra Pasqua esiste però il pericolo di perdersi in due dei tre passaggi:
[1] potremmo morire di quella ferita rimanendo chiusi o bloccati all’interno di un sepolcro personale trasformandola in un altare da consacrare ciclicamente; [2] potremmo rimanere troppo tempo nel mondo infero smarrendo la via del passaggio, d’altro canto rimanere troppo poco equivarrebbe a far finta di esplorare la propria ferita.
A questo punto mi piace pensare che i tre giorni di Cristo, simbolicamente corrispondono ai tre passaggi che dobbiamo agire di fronte ad una ferita dell’anima.
Con questo breve articolo voglio incoraggiarvi a non aver paura nell’attraversare la vostra Pasqua, costellata sicuramente da grandi sofferenze, ma anche da una luminosa resurrezione.
Cristo non ha portato la sua croce e subìto la crocifissione affinché noi potessimo evitarla, egli ha mostrato come ognuno di noi porterà la croce del proprio destino. [C.G.Jung, opere 18, p. 425]
Dovete essere lui stesso, non cristiani, ma Cristi, altrimenti non sarete pronti per il Dio che verrà. [C.G.Jung, Libro Rosso, p. 235]
Buona Pasqua
P.S. CLICCA QUI per leggere Cristo è una forma dell’emozione. Il divino dentro di noi
Mi piace questa interpretazione dell’evento Pasquale… E penso che se la “morte” è necessaria..l’elaborazione del lutto/ferite è utile…la capacità di uscire/risorgere a nuova vita è come dice Jung un atto di volontà creatrice a cui non possiamo e non dobbiamo sottrarci. Grazie. E che PASQUA sia..
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