Elementi di comunicazione
Quando dobbiamo spiegare qualcosa dobbiamo sempre ricordare una serie di elementi della comunicazione.
Prima di tutto che ciò che non siamo in grado di spiegare con poche parole non riusciremo a spiegarlo neanche avendone molte a disposizione.
Secondo che la spiegazione più semplice è sempre la più probabile e, terzo, che ciò che non siamo in grado di spiegare a una nonna un po’ decrepita o a un figlio di pochi anni, difficilmente riusciremo a spiegarlo e a spiegarcelo.
In generale se qualcuno ci dice che non ha capito cosa vogliamo dire o cosa abbiamo detto, questo significa che neanche noi abbiamo compreso fino in fondo il messaggio che stiamo inviando. In questi casi è sempre bene non inviare nulla.
La prima regola della comunicazione
Dunque dobbiamo essere molto attenti a un fatto, ossia che solo se abbiamo realmente e fino in fondo compreso un messaggio, un evento, una dinamica, una emozione, insomma solo se abbiamo capito fino in fondo allora saremo in grado di tradurlo senza tradirlo.
La traduzione richiede sempre una reductio ad unum. Significa non letteralizzare, non tradurre parola per parola ma piuttosto il messaggio come se fosse un’immagine, una forma, una gestalt. E nel passare il messaggio non dobbiamo aggiungere ma piuttosto ridurre… ridurre in senso culinario e in senso alchemico. Dobbiamo scaldare e a fuoco lento, al massimo moderato, far evaporare fin quando non ritroviamo l’essenza. Distillare! Separare le sostanze! E il distillato ha un alto contenuto di alcol, di spirito, di contenuti aerei che vizierebbero l’essenza della materia e del messaggio.
Dunque nell’epoca del virus siamo chiamati a distillare l’informazione in questa infodemia.
L’Infodemia è il male della nostra era
Nell’era dell’iperconnessione, delle memorie esterne, della conoscenza enciclopedica il vero problema è l’informazione.
La legge dell’informazione oggi non è una legge di attendibilità ma una legge di tempestività. Questo significa che non importa se una notizia sia vera, concreta, verificata, attendibile. Piuttosto il potere dell’informazione è che sia rapida, pungente, penetrante e tempestiva! Ma si sa chi semina vento raccoglie tempesta e chi semina tempesta… insomma fate voi.
Sembra che ognuno di noi sia, nella sua iperconnessione, teso ad ascoltare non la notizia più attendibile quanto quella più veloce. Sia inteso non sempre le notizie tempestive sono false, fake o “fuck”, direbbe qualcuno, magari sono assolutamente corrette. Ma, nel mare magnum della tempestività comunicativa, va a finire che non vi è distinzione alcuna tra il messaggio corretto e quello falso.
Questa in sintesi è l’infodemia, ossia l’epidemica e rapidissima diffusione di informazioni il cui valore è per tutte uguale.
Perché siamo bulimici di notizie?
Un informazione tempestiva gratifica l’informatore che, come un bimbo, salta e grida “mamma guardami”. Ma gratifica anche il destinatario che grida “mamma ho paura!”. Sembra che la paura e quello che potremmo chiamare narcisismo, ossia il bisogno di essere apprezzati e visti, tendano ad alimentarsi vicendevolmente, in modo quasi orgiastico seppur onanistico.
Un’informazione attendibile, invece, passa un messaggio a un adulto e, contemporaneamente, dice ai bimbi di smettere di saltare ma, soprattutto, dice di non avere paura. Così si cura l’infodemia, ossia attendendo di aver compreso il messaggio e di aver compreso il modo in cui comunicarlo. E solo curando questa, l’infodemia, allora potremmo comunicarci come curare il virus incoronato invece di oscillare tra estremi di allarmismo e menefreghismo.
Figlio mio
“…Non possiamo andare al parco perché l’Istituto Superiore di Sanità, alla luce della dichiarazione di emergenza epidemica sancita dalla commissione per le emergenze sanitarie, a sua volta nominata dall’OMS e su indicazione dell’AIFA e con la supervisione dell’ECDC… “ecco a questo punto mio figlio sta guardando altrove e mia nonna mi sta raccontando da capo quella volta in cui era scappata di casa per fare la “fuitina”.
Se non facciamo una riduzione, se non sappiamo tradurre allora perderemo l’ascolto di chi abbiamo di fronte. Del resto tutti i decreti, almeno per chi come me, è costretto a leggerli, iniziano con “Visto”, “Considerato” ecc. Tutta roba che nessuno legge e che, con tutto quello che c’è da fare e organizzare, è opportuno che non si debba perdere tempo a leggere, specie per chi, come me, #vorrebbestareacasa ma non può. Ma so che la mia è una condizione tra le più felici.
Le favole nascono per questo
Ossia le favole nascono per tradurre e per curare l’infodemia. Le parabole, le novelle, i racconti, le barzellette hanno proprio la funzione di distanziamento tra le informazioni al fine di ridurre l’infodemia e riportare l’essenza dell’informazione. Per questo ci dobbiamo sforzare a raccontare una favola…
“C’era una volta un pipistrello che prese il raffreddore e siccome un signore lo era andato a visitare nella sua grotta anche il signore prese il raffreddore. Allora quel signore incontrò due amici che presero il raffreddore e i due amici incontrarono altri due amici che presero, anche loro il raffreddore. Dopo poco tempo siccome gli amici volevano …”
No no non ci siamo! Mio figlio sta guardando da un’altra parte di nuovo, e mia nonna idem. Non è la favola giusta.
La psicoterapia
La psicoterapia questa sconosciuta. Quella che lavora poco e si svende come ascolto gratuito nei periodi di crisi. La psicoterapia ha proprio questa funzione. Distillare le immagini e le informazioni. Ridurre all’essenza un’emozione per renderla intellegibile e quindi consentirle di svolgere il suo lavoro, ossia il muoverci. La psicoterapia racconta storie e le storie curano. E chi giunge in terapia lo fa sempre in preda ad un’infodemia, lo fa per chiedere di spegnere i social che mandano messaggi in continuazione, lo fa chiedendo di ridurre il rumore di fondo, i decreti, le autocertificazioni, gli orari per la spesa, i pipistrelli, i russi, i cinesi i tg leonardeschi di qualche anno fa. Insomma chi giunge in terapia sta cercando di sottrarsi all’iperconnessione, sta cercando di ridurre l’afflusso di informazioni e cercare di carpire il messaggio nella sua essenza. Per fare questo deve smettere di avere paura e deve smettere di saltare per farsi vedere dalla mamma.
Allora quale è la favola del Coronavirus?
“Allora, figlio mio, non possiamo andare al parco perché… “ Come li metto insieme i russi, i cinesi, gli americani, i tamponi, le bugie, i contagi, i morti?
Non conosco una favola per raccontare quello che accade. Per questo sto lì che traccheggio, che penso a cosa dire. Allora lui, mio figlio, dal basso dei suoi tre anni, mi osserva sornione, piega leggermente il capo da una parte avvicinando il mento al petto e, mentre le pupille guardano verso l’alto cercando il mio sguardo e, contemporaneamente, nascondendosene, mi dice: “Papà non possiamo andare al pacco sennò ci viene la frebbe e poi nonna muore”. E io ascolto la semplice verità dalla voce di chi, per sua fortuna, non accusa né sintomi pandemici né infodemici e, prima che possa rispondere con una frase paterna, lui prosegue “… ma nonno in cielo non vuole che nonna muore? Secondo me si”.
“Vocatus atque non vocatus deus aderit” (C. G. Jung)
Tutto questo non mi solleva dalla paura di morire, ma mi solleva dal bisogno di comunicare qualcosa che non ho ancora capito. Per questo sono stato in silenzio più che potevo in questo periodo. E questo fa la psicoterapia. In caso non si capisca bene cosa stia accadendo resta in silenzio, religiosamente in attesa che si riveli l’immagine che, secondo necessità, deve realizzarsi.
La psicoterapia non ha fretta di dare risposte, di definire i destini, i traumi, il futuro o il passato. La psicoterapia è la lenta acquisizione della capacità di stare senza risposte e dubitate, direi, della psicologia che vende o, peggio, elargisce, gratuitamente, risposte. Quella è la psicologia adescatrice e, sia chiaro, nessuno psicologo ci sta capendo un granché.
Insomma la psicoterapia è prometeica ossia agisce sotto il primo dei doni che ci fece Prometeo, ossia l’oblio dell’ora della morte. Invece oggi la psicologia sembra voglia sempre dirci di che morte dobbiamo morire.