Venerdì Santo e Pasqua
Nella tradizione cristiana, il venerdì che precede la Pasqua si ricordano le ore che hanno portato alla passione e alla crocefissione di Gesù. Il rito della Via Crucis può essere visto come una luce con cui proiettare la nostra ombra sulla parete. Questa sera papa Francesco ha seguito una Via Crucis scritta e meditata da persone che hanno sperimentato sulla loro pelle la sofferenza. Persone che in un modo o nell’altro, hanno provato in se stesse cosa significa vivere il buio dell’anima. La voce è quella del mondo carcerario. È l’occasione per meditare su un Calvario vissuto da dietro le sbarre, per meditare su istanti di vita giocati a testa o croce. Tutti noi, in questi giorni, stiamo sentendo una sensazione oscura che ci sta accompagnando. Incertezza mista a paura e a speranza. Un miscuglio di emozioni. Anche noi ci sentiamo in gabbia e la vita sembra sfuggirci di mano. Il terreno fertile perfetto per meditare una via Crucis, magari con accenni di laicità psicologica. Una via Crucis ai tempi del Covid-19.
La seguiremo, stazione dopo stazione, cercando di rintracciare le emozioni che ci hanno guidato fin qui, nella nostra quarantena. Affianco al nome emozionale di ogni stazione, troverete tra parentesi, il titolo cattolico.
I STAZIONE – La paura (Gesù è condannato a morte)
Ormai più di un mese fa, ci è stato detto che un’emergenza era appena iniziata. Un po’ tutti siamo stati condannati a far morire una parte di noi, per permetterci di restare ancora vivi non appena l’emergenza sarà passata. A poco è valso l’aver visto ciò che stava succedendo in Cina. Nessuno di noi era preparato alla paura di un nemico sconosciuto. Ancora meno eravamo preparati a cambiare il nostro stile di vita. A restare chiusi in casa. A rinunciare a pezzetti della nostra libertà. Abbiamo rinunciato alla nostra rituale normalità per trovarci a scontrarci con la nostra solitudine. E nel frattempo siamo stati messi faccia a faccia con morti e dolori in numeri, numeri sempre più grandi. Numeri, a cui questa emergenza ha negato un nome. La paura ha iniziato a prendere possesso dei nostri pensieri e a colorare la nostra quotidianità. “Crocifiggilo!”, “ Crocifiggilo!”. Questo è l’urlo di un tribunale per un condannato all’ergastolo. Questo è l’urlo della prima stazione. Questo è l’urlo che è rimbombato dentro di noi almeno una volta. È lo stesso urlo che porta un condannato a dire: “è strano a dirsi ma il carcere è stato la mia salvezza.”
II STAZIONE – L’abitudine (Gesù è caricato della croce)
Nei primi giorni di isolamento in molti hanno provato a “mettere in ordine”. Armadi, scaffali, librerie… le nostre case, in molti casi, hanno assistito a un affaccendarsi puntiglioso. Poi in molti hanno provato a cantare dai balconi, a cercare una musica per sentirsi meno soli. In molti hanno provato a disegnare ponti per buttare giù le mura stringenti di casa. Alcuni hanno provato a trovare scappatoie per poter uscire di tanto in tanto. Ci siamo trovati di fronte, con il passare dei giorni, un fardello impegnativo, un legno pesante capace di parlare a ciascuno di noi: lo spazio temporale dilatato e lo spazio fisico ristretto. È normale non sentirsi padroni del proprio tempo in questa situazione di isolamento domestico. Eravamo abituati a rincorrere il tempo che sfuggiva. Ora il tempo passa nel silenzio assordante di piccoli riti spezzati, di un’abitudine racchiusa nelle poche mura di casa nostra, delle nostre vite.
III STAZIONE – L’ansia (Gesù cade per la prima volta)
Vorrei poter incontrare una ed una sola persona che in questi giorni non si è trovato a contatto con quel tarlo così testardo che ha il nome di “ansia”. Quel tarlo capace di restringere il nostro respiro e di portare il battito del cuore fin dentro alla nostra testa. L’ansia era una sensazione che in molti percepiscono come un inciampo. Era una di quelle condizioni che venivano relegate come tipiche di altri. Ma il Covid e questo isolamento globale hanno fatto in modo che l’ansia divenisse una condizione universale. Tutti possiamo cadere nell’ansia.
IV STAZIONE – L’amore (Gesù incontra sua Madre)
Quando abbiamo visto decine di persone che correvano a prendere un treno o che salivano in macchina per tornare a casa, la reazione più comune è stata lo sdegno. Ci siamo sentiti messi a rischio. Ma tornare a casa è uno dei desideri più umani davanti la paura. “Voglio andare a casa” – con tutti i significati che può avere la parola “casa” – è un urlo che ci ha accomunato tutti, almeno una volta. Perché davanti a una rivoluzione copernicana tutti abbiamo bisogno di sentirci meno soli. E cerchiamo l’amore a cui aggrapparci. L’amore che i fortunati hanno con loro a dividere le proprie solitudini. L’amore che proviamo a riempire attraverso un telefono. L’amore che riempie i nostri pensieri, i nostri ricordi, le nostre speranze per il domani. L’amore è un’emozione di emergenza.
V STAZIONE – L’aiuto (Gesù è aiutato a portare la croce da Simone di Cirene)
Subito dopo l’emergenza sanitaria è esplosa e, purtroppo, risuonerà sempre più un’emergenza economica. In tanti stiamo sperimentando l’assenza del lavoro. Una realtà che già era immensamente comune, ma che ora rischia di livellare un’immensità di persone. Ed ecco una sfida dell’emergenza: l’aiuto. Ci sono le professioni di aiuto, quelle che oggi immaginiamo in trincea. E c’è l’aiuto che ognuno di noi può dare nel limite delle proprie forze. Il cireneo durante la Passione viene chiamato a dividere il peso della Croce. Oggi a tutti noi viene chiesto di dividere il peso dell’isolamento e di portare una briciola del peso di quanti si troveranno a non avere soldi con cui procurarsi il cibo. La sfida del post-emergenza sarà quella di sentire la necessità di aiutare, con discrezione e riempiendoci di umanità.
VI STAZIONE – La memoria (Santa Veronica asciuga il volto di Gesù)
Ci sono immagini di questa pandemia che porteremo scolpite nelle nostre memorie. Il video dei camion militari che portano le bare fuori da Bergamo. L’infermiera stremata che si addormenta su una scrivania. I numeri che si rincorrono ogni giorno. Il volto di un Capo di Governo che parla in piena notte. Sono solo alcune delle immagini collettive che porteremo nella nostra memoria.
Poi ci sarà la memoria di ciascuno di noi. Con volti ed emozioni che righeranno i anni dei nostri ricordi. Saranno ricordi che comunque descriveranno il nostro modo di aver vissuto questo cambiamento. La memoria di come abbiamo vissuto le nostre emozioni di emergenza sarà l’immagine futura da cui non riusciremo a distogliere lo sguardo.
VII STAZIONE – L’impotenza (Gesù cade per la seconda volta)
Una delle emozioni in cui ci siamo imbattuti è stata l’impotenza, il non poter arginare un fenomeno che riguarda un’umanità intera. Sentire che l’unico modo per combattere una malattia è restare in casa a non far nulla, beh, è stato uno schiaffo per tutte le nostre velleità di eroine ed eroi. E se prima del Covid-19 ci siamo tutti affaccendati per guadagnare e per conquistare qualcosa di esterno a noi. oggi ci viene detto che è necessario arrendersi. Ci arrendiamo alla necessità che non tutta la nostra vita dipende solo da noi. Siamo impotenti davanti ai meccanismi esterni a noi. Ma, attenzione, siamo gli unici ad avere potere su noi stessi. Nella Via Crucis di Cristo, Cristo cade e si rialza. Fino al supplizio della Croce.
VIII STAZIONE – La gratitudine (Gesù consola le donne di Gerusalemme)
Ognuno di noi sta combattendo una piccola guerra privata. La combattono i bambini e gli adolescenti che si stanno abituando a una normalità confinata. La combattono gli insegnanti che sono tornati loro ad essere alunni in una tecnologia che permettere la didattica a distanza. La combattono quelli che – in modo errato – vengono definiti gli eroi del quotidiano. Medici, infermieri, personale sanitario, forze dell’ordine e tutti coloro che escono di casa e combattono l’anormalità con la difesa di una mascherina. Non sono eroi. Ma sono persone che combattono a difesa della normalità che tutti noi stiamo desiderando. Sono lavoratrici e lavoratori. Sono donne e uomini, ragazze e ragazzi, che vivono. Dire che sono eroi potrebbe essere una riduzione della loro umanità. Sono umani. A tutti noi che combattiamo le nostre piccole o grandi guerre private va la nostra gratitudine.
IX STAZIONE – La rabbia (Gesù cade per la terza volta)
Siamo umani. E abbiamo bisogno di prendercela con qualcuno o qualcosa. Accumuliamo tante emozioni, soprattutto restando immobili ad assorbire il caos che ci circonda. E la nostra umanità si veste con la rabbia che riversiamo intorno a noi. Ci scopriamo rabbiosi verso le fragilità dei nostri cari. Ci scopriamo rabbiosi verso chi attua comportamenti diversi dai nostri. Ci accorgiamo di avere rabbia verso le Istituzioni che non comprendono le nostre necessità. La rabbia è una delle voci per reagire all’emergenza. Cadere nella rabbia può darci l’energia per costruire proprio dove siamo caduti. Jim Morrison diceva: “Non è forte chi non cade, ma, chi cadendo ha la forza di rialzarsi”.
X STAZIONE – La nudità (Gesù è spogliato delle vesti)
Il silenzio di questi giorni ci ha fatto sentire tutti un po’ più nudi. Nudi, specialmente di fronte a noi stessi. Già, perché, privati delle nostre abituali e comode via di fuga, ci siamo trovati faccia a faccia con noi stessi. Questa emergenza sta provando a spogliarci delle maschere che indossiamo per nasconderci a noi stessi. Possono essere maschere pregevoli, maschere che ci fanno sembrare perfette e perfetti. Ma, sotto la maschera, tolto il trucco e indossata la tuta o un pigiama, siamo noi. E noi siamo e restiamo nudi. Almeno per noi stessi.
XI STAZIONE – La certezza (Gesù è inchiodato sulla croce)
Se è vero che siamo nudi davanti a noi stessi, allo stesso modo siamo inchiodati alle nostre certezze. Certezze, ma che possono essere inconsapevoli. Una certezza può essere un ricordo a cui siamo legati. Certezza può essere la sensazione di casa. Certezza può essere la nostra mela proibita che insegue i nostri sogni. Certezza può essere una passione a cui chiediamo aiuto per non pensare o per pensare meglio. L’isolamento e l’incertezza di questo tempo ci inchiodano alle nostre certezze, anche quelle che non vogliamo vedere.
XII STAZIONE – La scelta (Gesù muore in croce)
Chi siamo durante questa emergenza? Chi vorremmo essere una volta che tutto questo sarà finito? Riprenderemo in mano la nostra normalità o sceglieremo di scoprire parti nascoste di noi?
Cristo muore sulla croce e morendo racconta una liberazione universale. Nel buio che scende nel mondo – secondo il racconto dei Vangeli – comunque rimane salda la luce della fede. Ecco, laicamente, ciascuno di noi ha l’opportunità di far morire un po’ di Sé in questi giorni, lasciando accesa la luce della fiducia in noi stessi e nelle nostre capacità di rialzarci
XIII STAZIONE – La consapevolezza (Gesù è deposto dalla croce)
Se accettiamo di poter morire, di poter avere paura, di poter soffrire d’ansia, possiamo dirci consapevoli di essere persone inserite in un tempo. Un tempo forse limitato. Ma un tempo che ci definisce. E nel percorso del nostro tempo, anche in emergenza, si snoda il racconto di vita di cui ciascuno di noi sa essere protagonista. Questi giorni di emergenza – giorni che finiranno, perché soprattutto ciò che fa soffrire finisce – possono essere un richiamo a vivere il tempo che abbiamo a disposizione. Possono essere un richiamo alla consapevolezza del nostro essere inseriti in un tempo di cui siamo i padroni.
XIV STAZIONE – La stanchezza (Il corpo di Gesù è deposto nel sepolcro)
Ad una prima lettura potrà sembrare strano sentirsi stanchi del non fare nulla. I ritmi circadiani di chi lavora da casa, di chi è costretto a non far nulla a casa, sono sicuramente cambiati. Si dorme di più e probabilmente peggio di prima. Abbiamo affrontato giorni di cambiamento. E altri ancora ci aspettano. Non vergogniamoci di sentirci stanchi. Stanchi di questa situazione. Stanchi della nostra normalità. Stanchi delle prove a cui siamo sottoposti. Anche la stanchezza serve per sentirsi più vivi domani.
CONCLUSIONI – XV STAZIONE (la Risurrezione)
“La morte odora di Resurrezione” (Eugenio Montale)
Piazza san Pietro ancora una volta deserta. Il papa è un uomo mortale che sta raffigurando la solitudine di ciascuno di noi. E sono state scelte persone specifiche a portare la Croce. Persone che in loro portano lotte e battaglie quotidiane. Detenuti, parenti di detenuti e di vittime di violenza. Operatori sanitari. Quando questa emergenza sarà finita ci verrà chiesto di entrare in un mondo diverso. Ma sarà sempre un mondo in cui ci sarà bisogno di umanità. E a essere umani, si sa, si fa tanta fatica. Tutti vorremmo essere eroi, giovani e belli. Ma siamo semplicemente donne e uomini. Una sfida costante a vivere il tempo in cui si snoda la nostra storia.
L’ultima stazione della Via Crucis è la rinascita. La Psicologia ci urla esattamente questo messaggio: il nostro essere umanità ci costringe a morire ogni giorno…risorgere è una sfida che spetta a ciascuno di noi. La via della Croce, la via della morte è la stessa via della vita, della Risurrezione. Nel nostro intimo, forse, dal primo giorno inseguiamo l’attesa di una risurrezione. Stasera nella via Crucis e nel silenzio delle prigioni la voce di uno è diventata la voce di tutti. Una voce che si eleva non dal Colosseo ma da una piazza San Pietro vuota, deserta. Impariamo da questo. La nostra voce, nel silenzio della nostra interiorità può essere la voce del mondo. “È così che la via Crucis diventa una via Lucis”.