Olocausto e Shoah
Olocausto e Shoah sono i due termini con cui nella giornata della memoria richiamiamo lo sterminio del popolo ebreo. Uno sterminio di cui non ci sentiamo di sottolineare la gravità, poiché nella sottolineatura vi sarebbe contenuto l’alleggerimento di ciò che è avvenuto. La gravità è autoevidente. A noi qui interessa riportarvi al fatto che la distruzione totale, il bruciare interamente (queste le etimologie di Olocausto e Shoah) delle popolazioni avvenga ancora oggi, quotidianamente, nella psiche di ognuno di noi. A noi interessa esporvi come il processo psichico che ha portato a quegli anni bui, si presenta più volte nel corso della vita di ciascuno di noi. Una distruzione totale di un’intera popolazione di immagini nella psiche da parte di un’unica immagine tiranna.
L’antisemitismo nella psiche
L’antisemitismo è un fiume carsico, rispunta ritmicamente tra le rocce dell’anima. E lo fa perché è la manifestazione di un processo psichico che nasce dal suo carattere assolutamente ragionevole. Ecco cosa porteremo all’attenzione di tutti oggi, l’inflazione di Apollo, l’inflazione di ragionevolezza che si presenta nel piano tirannico del nazismo. Si perché l’idea di selezionare una razza è del tutto compatibile con quello che scientificamente Charles, il buon Darwin mise a fuoco nell’800.
Le specie si selezionano e si estinguono secondo la manifestazione di mutazioni casuali che risultano più o meno adatte all’ambiente fisico e relazionale.
Allora perché non dargli una mano? Perché non rilevare le mutazioni, valutarne la funzionalità, verificarne l’utilità e, alla fine selezionare i pezzi migliori e scartare quelli difettati?
L’antisemitismo è il delirio di essere chi si vuole
Eureka è geniale!
Talmente ragionevole e, per certi versi, indimostrabile nella sua validità, che non può che catturare la nostra attenzione, catturare il nostro amore. Potrei al dunque diventare ciò che vorrei diventare eliminando le parti me che risultano poco adatte allo scopo? Non vi sembra che in questa domanda vi sia una parte di ognuno di noi? Non vi risuona tra quei “sii te stesso”, “volere è potere”, “insegui i tuoi sogni”, “non mollare mai”, “non ti arrendere a chi ti critica” e cosi via, non vi risuona quella vocina che vi dice che voi siete i protagonisti e il mondo sia popolato di comparse?
Non mi impaurisce l’irragionevolezza di Adolf, piuttosto mi terrorizza la sua disarmante, scientifica credibilità. Mi terrorizza il fatto che è ragionevole.
La selezione naturale è una bufala
Prima di andare avanti vi comunico comunque che quella di Darwin, come tutte le teorie scientifiche è vera finché non fallisce nel descrivere la realtà. E spuntano ormai da più parti revisioni di quella monumentale teoria che si chiama “L’origine delle specie”. Sembra, vi basti qui questo, che la selezione di mutazioni più adatte che fanno riprodurre il più forte, non sia sufficiente a spiegare l’evoluzione. Sembra che lo slancio vitale non basti a spiegare la selezione. Sembra, udite udite, che vi sia un principio di collaborazione che giustifichi di più la sopravvivenza di una o di un’altra specie o individuo. Semplicemente chi sa più collaborare e creare relazioni costruttive sopravvive, e non il più forte.
Insomma, caro Adolf, la ragionevolezza resta fino a quando non ti accorgi che la teoria su cui poggia fa acqua.
Ma andiamo avanti perché la lettura dell’olocausto che vi propongo non è una disamina geopolitica di fatti storici, né una verifica sperimentale di una teoria scientifica. Piuttosto una disamina psicologica che vede nello storicismo l’ennesima proiezione di psiche.
L’olocausto non è quindi un evento storico isolato, anche perché si è presentato tante di quelle volte da permettere ad ogni partito politico di invocarne la portata a fini elettorali. L’olocausto è la manifestazione di un processo psichico che si ripete più volte nel nostro arco di vita. E potremmo tradurlo in modo banale perché è la sua banalità, ci disse la Arendt, che abbiamo sottovalutato. Banalmente quindi, Psiche è fatta di immagine e ogni immagine è un archetipo. Ogni archetipo è la manifestazione di una emozione, di un bisogno o di una condotta. La sopravvivenza sana della psiche risiede nella pluralità di immagini ossia di emozioni e condotte. Risiede nella coralità collaborativa delle immagini. Invece la vita di ognuno di noi si presenta come il tentativo reiterato di sopprimere emozioni e condotte in funzione di un’idea di noi. Un olocausto delle emozioni insomma, ossia il tentativo di dimostrare a noi stessi che noi siamo la maschera che indossiamo.
È banale. Ma è così. Distruggiamo e sopprimiamo una popolazione intera di immagini per diventare “avvocato”, così come voleva la mamma, buonanima. Sterminiamo una serie di sensazioni che il corpo ci manda per salvarci da un matrimonio destinato a fallire ma che tutti vogliono. Insomma tutti quei totem, tutti quei tabù, tutte le fughe dall’ombra di junghiana memoria, richiedono l’impiego di una quantità infinita di energie per sopprimere le immagini che mal si adattano a quel disegno.
Ma è anche colpa di Freud
Mi piace di rompere l’anima al tiranno della psicologia, lo faccio sempre, anche se non serve, solo per amore della democrazia e del politeismo. Ma qui è necessario. Quindi anche qui è colpa di Freud.
Tutte le volte che un’immagine ci viene a trovare, ad esempio in un sogno in cui nostro padre ci aggredisce, ci viene a trovare un archetipo, una emozione, una condotta che appartiene al nostro universo psichico. Questo riuscirono a mettere a fuoco Jung e poi Hillman. Il buon Freud, invece, riteneva che fosse la ragionevolezza del sogno che suggeriva cosa fare col proprio padre una volta svegli. Quindi possiamo svegliarci e mandare al diavolo nostro padre. Possiamo, cioè, letteralizzare l’immagine. Maledetto e amato Sigismondo. Oppure possiamo iniziare a capire cosa ci sta dicendo la nostra funzione paterna, cosa ci vuole dire quella parte di noi che è guida castrante?
Similmente Adolf ha letteralizzato l’olocausto compiendo un doppio errore. Ritenere che l’olocausto psichico fosse ragionevole e, secondo errore agirlo nel concretismo, dopo , e solo dopo, averlo operato nella sua psiche. Adolf si è negato la sua stessa complessità e pluralità… che vitaccia.
La Shoah della vita quotidiana
Ma noi lo facciamo tutti i giorni. Quante volte ieri, di domenica abbiamo partecipato a un pranzo di famiglia, oppure lo abbiamo evitato senza accorgerci che eravamo chiamati a fare l’opposto. Quante volte abbiamo provato amore quando eravamo arrabbiati, quante volte non ci siamo concessi di odiare, stimare, provare tristezza, attrazione… ecco quante volte non ci concediamo l’attrazione.
La nostra sessualità è un perenne gioco di olocausti. Ecco il tabù è figlio o padre di un olocausto. Allora non mi sembra tanto importante evitare o limitare il rischio che il fascismo di Salvini o il populismo sovranista dilaghi, mi sembra invece di poter rivolgere un invito a ognuno di noi, quello di trovare una linea diretta ognuno col suo Adolf e farlo, se ce ne è di bisogno, anche con un certo vigore. Questo perché il fiume carsico del nazismo non si pensi sia un fiume nuovo ogni volta che più a valle rispunta dalle rocce. La nostra tracotanza fluisce ed è la stessa di sempre. Quotidianamente tendiamo a sopprimere una buona parte di noi.
La psiche è politeista
La psiche è politeista significa semplicemente che è popolata da una moltitudine di immagini. E la nostra esistenza psichica è la risultanza della convivenza più o meno pacifica delle immagini nella psiche. Allora oltre a chiederci perché, sotto la bandiera della ragionevolezza, una di queste acquisisca un’energia tale da tiranneggiare tutte le altre, ci dobbiamo chiedere perché le altre si sottomettono.
Questo è il compito della psicoterapia, interrogarsi sul perché di fronte a una immagine le altre si silenziano. Perché, nonostante messe insieme possano vantare più energia del tiranno, rimangano nelle retrovie. Perché un’unica emozione silenzia una popolazione di emozioni? Ecco che la psicoterapia mette a fuoco un aspetto importante dell’olocausto psichico. Nessun tiranno può essere contenuto nell’operare la Shoah da una altro tiranno. C’è bisogno della sollecitazione di una popolazione di immaginari, di emozioni, di bisogni e condotte. Eccola la psicoterapia, nella sua inutilità, non le si può negare il merito di promuovere un’alchimia psichica in cui la regolazione del dosaggio di tutte le immagini costituisce la manifestazione dell’equilibrio chimico. La psicoterapia non è niente meno che una chimica delle immagini, delle emozioni, dei bisogni, delle condotte. La psicoterapia è la chimica degli archetipi.
Allora la psicoterapia sarebbe stata quella che avrebbe detto al popolo ebro di non temporeggiare. Quando leggi la Arendt capisci molte cose, compresa quella per cui vi fu una partecipazione involontaria degli ebrei (sotto metafora le emozioni non in accordo con quella principale) a costruire la loro immagine collettiva nei decenni precedenti alla Shoah. Mi sembra di poter dire che fu una partecipazione ingenua, forse sotto l’egida del “che vuoi che succeda”. Ecco dove stimolare le immagini. La psicoterapia non salva dall’olocausto le immagini tiranneggiate, la psicoterapia sollecita all’azione congiunta preventiva tutte le immagini affinché non avvenga l’olocausto.
L’Antidoto al nazismo: politeismo e cultura
Il fatto che vi sia un certo signore a cui hanno dato il nome di “IO” che comanda in casa nostra. Il fatto che tendiamo a vivere e osservare il mondo sempre con le sue lenti. Il fatto che faccia comodo a tutta la psiche che quel fesso dell’Io assuma su di se l’onere della guida. Insomma tutti questi fatti sono stati denunciati dalla psicologia come fonte di malessere e poca salute.
Allora perché pensare che Adolf sia fuori di noi?
Non ho paura dei neonazisti che manifestano in piazza. Loro sono il fiume del nazismo che si fa rivedere in superficie. Ho piuttosto paura quando il fiume è sotterraneo, quando nella vita quotidiana operiamo uno sterminio lento e costante che ci allontana dall’individuarci. E, per certi versi, mi impaurisce di più quella opposizione che tiranneggia il Salvini di turno che è evidentemente una manifestazione psicopatica. Mi preoccupano le guerre sante perché sono tirannie mascherate. Come quando abbiamo un figlio che è proprio un bravo figlio, che è oltremodo in gamba.
Forse il vero mistero non è nel male ma nell’innocenza (J. Hillman, Il codice dell’anima)
Allora non tiranneggiamo i tiranni, piuttosto movimentiamo tutte le immagini. Se Apollo tiranneggia non dobbiamo invocare Dioniso e basta, ma tutto l’Olimpo. Hermes perché astutamente faccia comunicare gli dèi, Atena perché strategicamente protegga il femminile, Estìa perché ravvivi il fuoco della casa, Efesto che creativamente crei gli strumenti e sua moglie Afrodite generativa e erotica, Ares che protegga i confini e via via tutti gli dèi. Eccolo l’antidoto alla tirannia monoteistica psichica.
Galimberti e altri eroi
Nell’intervista con la Gruber ho ascoltato Galimberti. Il filosofo ci aiuta a comprendere meglio. Avevo smesso di farlo perché trovo che Galimberti sia diventato troppo saturnino. Sia troppo teso a vedere come il mondo vada male rispetto a quando andava bene ai suoi tempi. Ma stavolta l’ho ascoltato e ho ascoltato non un’apologia dell’antisalvinismo o dei tempi andati. Ho ascoltato un elogio della cultura. Si perché di genocidi e olocausti ne è piena la storia e gli Ebrei sono gli unici ad essere riusciti a tenere viva l’attenzione sul loro genocidio. Questo perché, ci ricorda Galimberti, erano molto acculturati, leggevano, studiavano. Questo fa la differenza e questo è il secondo antidoto dopo il politeismo. Se gli ebrei sono immaginalmente le immagini che mitigano la tirannia dell’Io, lo fanno grazie alla cultura. La psicoterapia ha questa seconda funzione, o meglio dovrebbe averla. Non sempre uno psicologo è culturalmente attivo e, qualora non lo fosse tradirebbe la sua missione. Ogni libro letto, ogni film, ogni quadro, ogni evento è anima, è proiezione del funzionamento della psiche, questo ci ricorda invece Hillman. Dunque se con cultura intendiamo essere sensibili alle proiezione della psiche, dire che la cultura è antidoto sarebbe anche improprio. Piuttosto cultura potrebbe essere solamente un altro modo con cui chiamare Psiche.
Onorare le vittime della shoah
Dunque come possiamo onorare quelle vittime a distanza di 80 anni? Iniziamo col riconoscere il tiranno nella psiche, osserviamo come abbiamo agito un genocidio più volte e onoriamo i nostri ebrei psichici. Per farlo sollecitiamo le immagini che possono e devono porsi all’attenzione dell’Io e lateralizziamolo. Lateralizziamo l’Io tiranno che sopprime le immagini che ha deciso essere non adeguate, depotenziamolo imparando a far convivere in noi le immagini più inconciliabili. Ma non linciamo il povero Io, lui ha solo una grandissima paura che coincide col suo più grande desiderio, l’essere detronizzato. Adolf aveva molta paura.
La banalità del male
La giornata della memoria funziona poco perché è la memoria delle vittime. Ah che bello sarebbe vedere in televisione un SS che ci racconta la sua esperienza di omicida, quali emozioni, quali motivazioni, il godimento e l’angoscia o la banalità del male ossia la mera esecuzione di ordini. Invece abbiamo tutte vittime. Dobbiamo onorarle ma queste, le vittime fanno risuonare l’immaginario della vittima dentro di noi. Lo stesso con cui spesso si giunge in terapia, quella promossa dalla psicoanalisi. Ma la psicoterapia, ho già detto altrove, è per i carnefici. Allora se vogliamo onorare quelle vittime dobbiamo osservarci come carnefici. Dobbiamo mettere in bella mostra e alla berlina l’SS che è dentro di noi. Così come fa la psicoterapia che chiede come abbiamo partecipato a un evento, a un trauma che abbiamo subito. Perché la psicoterapia non salva dai carnefici la fuori ma da quelli che abbiamo dentro. Dobbiamo smettere di interrogarci sulla banalità del male, sul perché il male è banale. Piuttosto dovremmo iniziare a chiederci perché siamo indifferenti a ciò che è banale o perché riteniamo banale qualcosa di fondamentale. Se facciamo questo l’SS che è in noi, la prossima volta non starà banalmente partecipando nel silenzio.
L’olocausto è opera psicopatica, è opera di una psiche sofferente. Non è un evento passato ma si ripete nel mondo in continuazione. Basta osservare le regole della politica. Ma, soprattutto, si ripete quotidianamente dentro di noi, si ripete tutte le volte che ci imponiamo una unilateralità negandoci la pluralità delle nostre emozioni. Allora se, ad esempio, un giorno ci capita di provare oidio o, peggio, indifferenza per un figlio, non nascondiamoci, non raccontiamo di amarlo e basta ma con coraggio confrontiamoci con quella emozione, perché anche quella emozione siamo noi. In questo modo onoriamo la Shoah, ossia confrontandoci coraggiosamente con tutte le situazioni in cui siamo stati noi tiranni nel mondo intorno a noi e in quello dentro di noi. Una volta fatto, chiediamo scusa.
P.S. CLICCA QUI per leggere “Il razzismo è lo specchio di un’opposizione interiore”