La ricerca di un capro espiatorio nella paura
Talvolta vorrei entrare in una casa a caso, sedermi in cucina e chiedere agli abitanti di che cosa hanno paura, che cosa sperano e se capiscono qualcosa della nostra comune presenza sulla terra. Mi hanno ammaestrato a sufficienza perché mi trattenga da questo slancio che, tuttavia, mi sembra il più naturale del mondo (Christian Bobin)
Abbiamo un disperato bisogno di concretezza.
Il mondo è in guerra contro una malattia. Ovvero contro un nemico impossibile da vedere a occhio nudo. E proprio perché non riusciamo a vederlo, ci spaventa terribilmente. Siamo un po’ tutti bambini oggi. Perché tutti dobbiamo fidarci di figure autoritarie, simili ai genitori, che ci impongono di restare a casa, di evitare i contatti sociali. E non possiamo fare altro che fidarci.
Ci dicono di avere paura perché siamo davanti a un nemico invisibile, ma pericoloso. Ma è difficile ammettere di avere paura. È difficile dire a se stessi di avere paura, se non c’è un nemico “in carne e ossa”. E la paura la trasformiamo in rabbia verso un nemico fisico, anche se solo apparentemente connesso alla minaccia reale.
Ci scopriamo capaci di odiare i cinesi, di disprezzare quanti vanno a correre. Ci troviamo a biasimare con tutta la nostra forza tutte quelle persone che hanno affollato treni e strade per tornare a casa. La paura sa trasformarci. Può salvarci, può essere sana. Ma può anche annientare. E il rischio di trasformare la paura in terrore e il terrore in panico è un fenomeno tremendamente reale, specialmente davanti al Covid-19.
Specialmente se non siamo bambini, ma siamo adulti, “messi in crisi” dall’emergenza. Ci sono mille strategie, sane oppure assurde, per gestire la paura dell’essere messi in crisi. Proveremo a scoprirle insieme sotto la lente della psicologia.
Bambini davanti all’emergenza
Tutti i bambini, tranne uno, crescono. Ci mettono poco a capirlo, e Wendy lo capì così: un giorno, quando aveva due anni, mentre stava giocando in giardino, colse un fiore e corse a mostrarlo a sua madre. In quel momento doveva essere molto graziosa, perché Mrs Darling si mise una mano sul cuore ed esclamò: «Oh, perché non puoi restare così per sempre?». Questo fu tutto ciò che si dissero sull’argomento, ma in quel momento Wendy capì che sarebbe cresciuta. Tutti, a due anni, impariamo questa cosa. I due anni sono l’inizio della fine (James Matthew Barrie, Peter Pan)
Così nel pieno di un’emergenza, ci scopriamo tutti un po’ bambini. Siamo quei bambini che hanno paura del buio. Siamo quei bambini che accettano di avere paura degli sconosciuti o dei mostri, perché così gli è stato detto, perché la paura ha bisogno di essere concretizzata.
Tuttavia, nella maggior parte dei casi, i bambini fanno un atto di fiducia e vivono una sana paura. Una paura che insegna a vivere nel mondo. Perché la paura sana del buio spinge ad accendere la luce. Temere l’ignoto spinge a conoscere. I genitori ci hanno detto di guardare la strada prima di attraversare e noi abbiamo imparato che dobbiamo stare attenti e prevenire. Questa è la paura che ci difende. Questa è la paura che fa crescere, che fa evolvere.
Ma se la paura dell’uomo nero costringesse il bambino a scappare davanti agli uomini di colore? Se non ci fosse una guida a indirizzare la paura del bambino? Ecco, lì nascerebbe la paura maligna. Quella che non fa crescere, ma che blocca. Quella che ci terrorizza.
La paura ci terrorizza proprio quando non ha nome e non ha senso. Il panico è panico proprio perché assorbe tutto ciò che siamo e sentiamo. Chiunque, bambino, adolescente, adulto, chiunque può imbattersi in quella strana sensazione quando ci si trova davanti al buio. Tutto ciò che è nascosto, tutto ciò che non riusciamo a vedere ci spinge a sentirci inadeguati, impreparati. E ci terrorizza. “Terrore” ha la stessa radice di “terra”. E quando ci troviamo di fronte al terrore, siamo costretti a toccare terra, a cercare la concretezza di un fondo da cui risalire. Abbiamo bisogno di nomi, di dare sembianze e contorni a ciò che ci spaventa. Altrimenti non saremo in grado di combattere. Altrimenti ci sentiremo inadeguati. E il terrore ci travolgerà fino a diventare panico. C’è una via d’uscita? Ovviamente sì. E nasce dalla voglia di guardare dentro di noi e di crescere.
Il capro espiatorio
Il Capro Espiatorio non è solo quello che, all’occorrenza paga per gli altri. È soprattutto, e anzitutto, un principio esplicativo (Daniel Pennac)
La storia dell’umanità è ricca della necessità di avere vittime sacrificali, persone a cui dare la colpa. Nemici per dare forma alla paura di fenomeni inspiegabili. Spesso sul fuoco della paura in tanti hanno soffiato. Ma altrettanto spesso la caccia all’untore si è manifestata come un delirio di massa, come il grido del terrore che annebbia la mente.
E ora che ci troviamo davanti alla minaccia di un virus che sembra poter cambiare l’umanità, il delirio di massa è dietro l’angolo. Perché siamo di fronte a una minaccia a cui non sappiamo dare nome, né forme. E per il nostro equilibrio mentale avvertiamo la necessità di cercare responsabili.
Quando è iniziata la diffusione del virus, i negozi cinesi hanno avuto un crollo. Il virus è scoppiato in Cina e in tanti hanno iniziato a tenere le distanze dai cittadini cinesi, dai loro negozi, dai loro prodotti. C’è stato addirittura chi ha picchiato ed è barbaramente andato a caccia di cittadini cinesi da colpevolizzare. Qui si è visto l’inizio della ricerca del capro espiatorio. La ricerca di un’origine dell’emergenza da fermare.
Poi il virus ha iniziato a diffondersi. E in tanti hanno avvertito la necessità di “tornare a casa”. La voglia di tornare a casa è un’emozione intensa. “Voglio andare a casa” vuol dire dirsi che da soli non siamo sufficienti, ma che abbiamo bisogno di mura e persone amiche. Quando diciamo “voglio andare a casa”, ci scopriamo bambini. In una condizione di panico, forse dettato anche da una comunicazione ansiogena, tutti e dico tutti abbiamo avuto la sensazione che da soli non avremmo potuto farcela. Un’emozione umana. Una paura che ci può mettere in crisi tanto da fare scelte avventate, come prendere un treno nella notte a rischio di contagiarsi e di contagiare. Ed ecco che è spuntata fuori la nostra ricerca di un capro espiatorio. Se il virus si sta diffondendo è colpa di chi ha avuto paura di tornare a casa. Poco importa se non ci sia nessun decreto del Governo che impedisca il ritorno al proprio domicilio. Chi si muove è colpevole. Tanto colpevole da poter essere odiato.
Infine arriviamo all’emergenza piena. A tutti noi viene chiesto di restare a casa e di uscire solo per pochi motivi. Ma c’è chi questa indicazione non la rispetta. C’è chi esce per socializzare (comportamento negativo in una condizione di emergenza come questa), ma soprattutto c’è chi esce per camminare e per correre. Da soli. E poco importa se il Governo ha ancora reso possibile questa attività, purché a distanza di sicurezza. La nostra ricerca del capro espiatorio trova la minaccia per far sì che il virus divori la nostra normalità: i runners. C’è stato chi ha proposto di usare i cecchini…ovviamente una battuta, ma che dà l’idea di quanto possiamo odiare un capro espiatorio. Poco importa se ci sono ancora assembramenti sui mezzi di trasporto dei pendolari. Poco importa se fare attività all’aperto – mantenendo il distanziamento sociale – può essere un antidoto a mille altri virus. I runners, nella folle ricerca del capro espiatorio, ora sono le vittime preferite.
Conclusioni
Le favole non insegnano ai bambini che i mostri esistono. Questo lo sanno già.
Le favole insegnano ai bambini che i mostri possono essere sconfitti (Richard Keith Chesterton)
La nostra normalità è cambiata davanti a un nemico senza forma. È bello osservare che molti insegnanti stanno chiedendo ai loro alunni di disegnare, di dare una forma al Covid-19 e alla paura che questa emergenza ha scatenato.
I bambini anche nel pieno panico sociale hanno voglia di crescere. Hanno sete di normalità. I bambini, quelli di oggi e tutti noi bambini di ieri, sanno che le favole dicono che i mostri possono essere sconfitti. E che combattendo un mostro, la paura ci accompagna, ma ci fa crescere. Perché da qualsiasi crisi si può crescere. Ecco, noi tutti oggi siamo costretti a fare i conti non solo con un’emergenza, ma anche con le nostre paure.
Ma se la paura diventa isteria, se la paura diventa terrore e poi panico, ecco che diventa una follia. Quella stessa follia che ci farà concentrare su capri espiatori, piuttosto che su noi stessi e sulla nostra voglia di crescere e di uscire da questa emergenza. La paura può salvare, solo se ci aiuta a guardare dentro di noi.
Grazie, condivido pienamente la conclusione!