Il Set(ting) fotografico.
Fotografia, vacanza e social network vanno a braccetto insieme a Priapo.
D’estate il set(ting) fotografico di base si aggiorna guadagnando in qualità delle luci e in bellezza delle ambientazioni. Si passa dall’illuminazione da plafoniera del bagno alla magnificenza della luce solare. Tale glorioso cambio di prospettiva impreziosisce il profilo, psicologico, di ognuno di noi. Quando luogo e contesto sono ridenti agevolmente si sorride all’obiettivo fotografico e si va in risonanza con l’universo dei socialnetwork.
Ma nella fotografia siamo usciti male. Aggiustiamo i capelli, il sorriso, il sopracciglio e riproviamo.
Per fortuna abbiamo anche la possibilità di applicare delle pezze elettroniche che letteralmente ci salvino la faccia; filtri e trucchi digitali limano i danni ed esaltano i pregi e scegliere la fotografia migliore da numerose sembra fare più che una piccola differenza.
L’obiettivo che qui ci proponiamo non è puntare uno dito sentenzioso che indichi lo sterile spauracchio del narcisismo, ma osservare la necessità e insieme lo scopo psicologico della “fotografia social in vacanza”. La lente che useremo è quella della Psicologia Archetipica.
C’È TRUCCO E C’È INGANNO
La Psicologia Archetipica è un’attenta osservatrice della tensione che coinvolge l’individuo e il ruolo archetipico che lo incalza e ritiene una buona pratica psicologica riconoscere in quale mito, fantasia o ruolo si stia vivendo. Per far ciò utilizziamo la metafora teatrale junghiana che fa capo ad uno stile dionisiaco e che ci aiuta ad analizzare, facendole a brani, le nostre esperienze. Come se fosse quello o quell’altro personaggio ad animarsi, attraverso una maschera teatrale, in quella precisa dinamica. D’altronde il momento in cui nel cinema e nel teatro gli attori si danno al trucco e parrucco, cosa che propizia il ruolo da interpretare, è l’equivalente del nostro dedicarci ai filtri, alle pose e alla scelta della fotografia da postare.
Di quale dio stiamo indossando la maschera quando rendiamo immortale la nostra immagine? Ergo, quale dio stiamo fotografando e incarnando?
UN SEMPLICE SCATTO, MOLTI DEI
Ornarsi, indorarsi, ungersi e mostrarsi rimandano ad un atteggiamento psicologico afroditico. Dunque i preparativi, i trucchi, gli aggiustamenti e le selezioni fotografiche sono rituali che propiziano l’epifania di Afrodite che scende dall’Olimpo e approda in spiaggia. Che sia uomo o donna il vacanziere per definizione non lavora, tiene all’esposizione solare che lo fa dorato, si unge di creme, viene sospinto dalla spuma dei mari e appare bagnato e scintillante quando ne emerge. Va presto a cercare ristoro presso la frescura di un riparo ombroso, e lì ozia, senza colpa e senza vergogna. È la natura di Afrodite.
La dea, oltre a portarsi dietro il suo buon gusto, reca con sé anche altri dei che mitologicamente e psicologicamente le sono affini. Uno di questi è Priapo, il suo dotato fanciullo.
Il mito della nascita di Priapo raccontato da Hillman ci suggerisce le metafore mitiche che danno forma e vita ai nostri turbamenti interiori e fotogeniche selezioni:
“Era, regina dell’Olimpo…mise in atto un inganno secondo il proprio stile, offrendosi di assistere Afrodite durante il travaglio e il parto. E toccò il ventre della rivale con il dito, causando la deformità del nascituro. (J., Hillman, Figure del mito, Adelphi, Milano, 2014, p.185)”
“Afrodite rimase inorridita dalla dotazione del suo nuovo nato. Era talmente fissata sulle proprie idee di bellezza che il corpo del figlio le parve deforme: non sopportava di vederselo davanti. La dea dunque l’aveva portato in grembo ma non lo sopportava, e lo espose su un monte, dove lo trovò un pastore. (J., Hillman, Figure del mito, Adelphi, Milano, 2014, p.183)”
Afrodite non tollera molto i difetti, cosicché se ne indossiamo la maschera assumiamo anche un atteggiamento intollerante verso ciò che non è appropriato secondo il gusto armonioso della dea. Ed ecco che innumerevoli scatti vengono scartati esattamente come il deforme figlio Priapo venne abbandonato. Nelle fotografie rifiutate c’è proprio Priapo, sulla cui nascita incombe il lungo dito di Era che, facendo “tapping” sul pancione della gravida Afrodite, rende orribilmente osceno il fallo del nascituro.
Proprio perché ha un occhio social ante litteram Era nel mito cerca di vendicarsi della scappatella di Zeus con Afrodite, vissuta come un’umiliazione pubblica del suo ruolo di moglie. Da sempre attenta a difendere la sua regale immagine sa bene cosa è orribile e indecente e perciò va scaraventato giù dal celestiale Olimpo, come fece con il suo brutto figlio Efesto. Per cui il suo impegno è volto ad eliminare le creature che turberebbero il candore delle foto di famiglia. Non andremmo lontani se dicessimo che Era abbia il sangue blu e tenga all’etichetta.
CONCLUSIONI
Poiché Priapo era considerato un dio della fertilità e il suo inopportuno fallo l’origine della vita dobbiamo attribuire a ciò che è sproporzionato e disarmonico secondo Afrodite ed Era il potere generativo del dio. Ne deriva che ciò che è marcatamente individuale è vitale, distintivo e fuori norma, e anche osceno. Dalla nascita Priapo viene velato con qualsivoglia filtro ed è in un perenne equilibrio tra l’esibizione e l’imbarazzo.
Essere con Priapo vuol dire essere nell’eterno tentativo di comprendere quanto si possa mostrare e quanto si debba velare la peculiare dote individuale di ognuno di noi.
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