Fotografare la psiche
Se potessimo inventare una macchina fotografica psichica, un aggeggio capace di fermare in uno scatto il mondo interiore, cosa vedremmo?
Lasciamo perdere quelle specie di radiografie digitali fatte sul cervello, le PET, non stiamo cercando di vedere l’attività cerebrale. Pensiamo invece ad una fotografia che possa dare forma e colore a quell’istantaneo formarsi dei pensieri in modo puro, immediato e diretto. Verrebbe da pensare alla pittura. Cosa c’è di meglio dello spazio pittorico per rappresentare visivamente le atmosfere ed i moti psichici?
Certo, la pittura, da cui poi è nata anche la fotografia. Se avessimo una macchina fotografica psichica potremmo dire che le sue istantanee sarebbero simili ad un dipinto, ognuno con il suo stile, la sua gamma cromatica, i suoi limiti e la sua originalità.
Sfortunatamente, non possediamo una macchina del genere ma possediamo invece delle produzioni molto simili a fotografie psichiche. Badiamo, non per tecnica ma per concetto. Se la psiche fosse fotografabile, la sua vista d’insieme, il suo orizzonte, avrebbe alcune caratteristiche che la renderebbero diversa dal comune modo d’intendere il linguaggio visivo ed artistico. Chiamiamo questo modo di rappresentare la psiche mandala.
Mandala significa cerchio
“Mandala significa cerchio. Esso è inanzitutto un cosmogramma, è l’universo intero nel suo schema essenziale, nel suo processo di emanazione e riassorbimento: l’universo non solo nella sua inerte distesa spaziale, ma come rivoluzione temporale (G. Tucci, Teoria e pratica del mandala, Astrolabio Ubaldini, Roma, 1949, pp.30-31)”.
Mandala è una parola di origine indiana usata dagli Induisti e dai Buddhisti per descrivere una rappresentazione sacra e simbolica del cosmo da usare nella meditazione come oggetto di contemplazione.
Possiamo trovare innumerevoli rappresentazioni di mandala che vanno dal semplice cerchio perfettamente tracciato con il pennello del calligrafo fino a sofisticatissimi dipinti che descrivono mondi come isole galleggianti in spazi celesti attorniati da miriadi di forme divine.
Il mandala descrive una dimensione interiore che le religioni orientali elevano a dimensione spirituale dove albergano, divinità, demoni, santi, angeli e dannati. Il Buddhismo, in particolare quello tibetano, ne fa largo impiego a scopo rituale, elaborando mandala non solo su stoffa o di sabbia ma anche in forme tridimensionali di pietra, metallo o di sostanze edibili. Il mandala è infatti collegato al tempio che ne è la forma architettonica esteriore. Tuttavia, il vero mandala si costruisce con l’immaginazione dato che è una sostanza di tipo psichico e la sua azione serve per trasformare la coscienza.
Il mandala è un simbolo universale
A Carl Gustav Jung va il merito di aver trovato le componenti psicologiche del mandala, riconoscendo in questo prodotto dell’arte e della filosofia orientale non solo lo strumento per accedere alla dimensione del sacro ma anche un simbolo universale dell’attività immaginale umana.
“Il vero mandala è sempre un’immagine interiore che viene gradatamente costruita dall’immaginazione (attiva), e precisamente quando è presente un disturbo dell’equilibrio psichico, o quando non si può trovare un pensiero e bisogna quindi cercarlo perché non è contenuto nella sacra dottrina (C.G. Jung, Psicologia e alchimia, Bollati Boringhieri, Torino, 1981, p.103)”.
Come nasce un mandala?
Il mandala nasce da un’esperienza visionaria, da quel sogno speciale che viene fatto in momenti importanti dell’esistenza come a segnare la tappa di un processo.
Probabilmente, questa prima e genuina esperienza venne raccolta da mistici, brahmani ed asceti che si facevano rappresentanti ed intermediari dei rapporti con il mondo divino. Venne in seguito codificata per trasmettere agli adepti l’esperienza fino a diventare infine uno stile artistico con un suo preciso linguaggio.
In genere, un mandala rappresenta uno spazio circolare ma anche quadrato che contiene al suo interno un piccolo mondo, spesso rappresentato a partire dalla planimetria di un tempio circondato da un giardino ed abitato da animali e personaggi. A volte il mandala è più schematico e descrive fiori o forme geometriche. In tal caso si chiama yantra, simile ai sigilli della magia rinascimentale.
Dal confronto dei dati e testi raccolti, Jung potè ipotizzare che l’esperienza religiosa fosse il veicolo della manifestazione dei contenuti psichici impersonali, le immagini pure. Cosa che si poteva verificare anche con il confronto fatto con pazienti che non avevano cognizioni di arte mandalica ma che narravano esperienze molto simili. Uno dei pazienti che aiutò più di tutti a collezionare una mole di dati sufficiente a cominciare a trarre delle ipotesi valide fu Wolfgang Pauli, il famoso fisico e premio Nobel.
Conclusioni
Il mandala non è un semplice dipinto o disegno né un esercizio di decorazione che aiuta a rilassarsi.
Esso si presenta come un’immagine dall’intenso valore simbolico che raccoglie nella sua composizione una serie di elementi ordinati in un modello cosmico. È una forma simbolica che rispetta un ordine estetico e morale che riflette un profondo sentimento da parte di chi lo ha evocato. Nelle pratiche di meditazione orientale si cerca non solo di lasciar emergere il mandala ma s’impara a costruirlo con un rigore accademico ed artificioso che può liberare l’esperienza spontanea.
Nel lavoro clinico invece il mandala non viene provocato ma se ne riconosce il simbolismo quando si presentano immagini caratteristiche nei sogni e nelle fantasie del paziente.
Per questo potremmo scovare un mandala in oggetti o scene molto lontane dalle forme tradizionali di sapore orientale. Pauli ad esempio immaginò un orologio universale con complessi ingranaggi che segnavano il tempo. Così, per esempio, potrebbe accadere che una comune cartolina postale sognata potrebbe assurgere a mandala se collocata in un percorso onirico coerente. Non tutte le immagini sono mandala però! Non basta un cerchio o qualche surreale accostamento per poterlo identificare. Nel mandala si concentra una sintesi complessiva del panorama psichico e chi lo riporta ne riconosce il valore percependone l’importanza e l’estraneità tipica del materiale immaginale autentico. Una fotografia psichica appunto, numinosa e solenne.
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