Quando ho incontrato Ligabue e la pittura naif

Qui vi racconterò dell’incontro che ho fatto con Ligabue. Ma non il cantante, il Pittore. Vi prego, però, non smettete di leggere perché siete fan di Luciano Ligabue, mantenete l’attenzione che vi ha condotto fino qui. La sincronicità vuole che questo sia il momento di indagare, insieme a me, la psicopatia attraverso la pittura naif.

Infatti Antonio Ligabue è un pittore le cui opere ci parlano bene della psicopatia e, in un periodo in cui il nostro caro Joker ci sta mostrando così bene di cosa si tratti, direi che comprenderne le espressioni pittoriche potrebbe essere assolutamente utile.

Io ho incontrato Ligabue a Parma, e a Parma finii a causa della mia “Psicopatia”. Fasi adolescenziali in cui ti muovi e ti ritrovi a incontrare quella che sarà la mamma dei tuoi figli. La storia inizia a Firenze, prosegue a Milano, passa per Brescia e poi arriva a Parma. La città della mia dolce metà e territorio dello stesso pittore che è reggiano. Conosco quindi tutti i luoghi di Ligabue, quelli in cui ha vissuto e in cui ha dipinto e ho incontrato la progenie di tutti gli animali che lui da quella campagna ha ritratto. E piace anche alla mia dolce metà per questo ci siamo incontrati, per amore della psiche.

La pittura è un sogno in diretta

Un quadro ha la stessa origine di un sogno.

Le immagini ci colgono, noi le contempliamo e poi le fissiamo sulla tela. Dunque se avessimo la possibilità di osservare un pittore all’opera, avremmo anche la possibilità di osservare il lavoro di compilazione di un sogno. Su questo muove l’Arteterapia, ossia sul lavorare i simboli onirici direttamente attraverso la materia. L’arteterapia consente, ed è l’unica, di giocare a dadi con i sogni, di toccare le piante, gli oggetti, le persone che ci vengono a trovare in sogno. E nel far questo ci libera dallo psichismo.

Cosa significa follia e cosa significa psicopatia

Un’educazione che in qualunque modo trascuri l’immaginazione, è una educazione alla psicopatia (J.Hillman, Right to remain silent, p.151)

Abbiamo avuto già modo di spiegare qualcosa sulla follia parlando di Joker (Clicca qui se vuoi leggere: CHI VORRESTI COME PSICOTERAPEUTA, JOKER O BATMAN? LA DOPPIA FACCIA DELLA PSICOTERAPIA), e nel farlo ci siamo appellati alla etimologia. Psicopatia significa sostanzialmente la passione (Pathos) dell’anima (Psiche) ed è stata una parola impiegata per parlare di una diffusa antisocialità e di poca empatia.

La parola Follia etimologicamente rimanda, invece, a un “pallone pieno d’aria” che si muove in modo inaspettato a destra e a manca. Allora potremmo dire che la follia è il movimento brusco o meno di un pallone di cui non riusciamo a prevedere la traiettoria. E se invece del pallone ci mettessimo gli individui? Allora, sapendo che un individuo è la materia di cui è composto sommato a bisogni, emozioni, motivazioni e comportamenti, allora potremmo dire che la follia è l’imprevedibilità con cui si organizzano questi pezzi del puzzle.

Quando ho incontrato i folli

Scrivevo una volta, sempre di una settimana fa, che, da adolescente, quando la follia è un permesso che ci viene concesso, andavamo a giocare a pallone. Quello stesso pallone pieno d’aria era usato per divertirsi e relazionarsi. E chi riusciva meglio a prevederne i movimenti era un campione.

Il campo in cui andavamo a giocare era quello del Manicomio di Rieti, unico campo gratuito e disponibile. E quel manicomio era bello, immerso, come era, in una pineta; e vi si giungeva attraversando un viale alberato che sembrava condurre nella direzione del proprio processo di individuazione, ossia col sole che sorgeva illuminandone l’inizio e tramontava alla sua fine. La fine del viale era dove c’erano i padiglioni. E ogni padiglione probabilmente aveva diverse funzioni. In verità scorgevamo seduti fuori su delle sedie, come dei vecchi amici al bar del paese, i “pazzi”. E dovevamo attraversare tutti i padiglioni per raggiungere il campo di pallone, o della follia se vogliamo stare all’etimologia di follia. Gli sguardi dei pazzi sono “smileanti”. Fanno una faccina da smile nelle pupille che è probabile conseguenza di farmaci. Ma è nel colore profondo dell’iride che vi leggi la loro capacità di penetrazione. Sembrava avessero accesso a qualcosa che a me era precluso. Li ammiravo, erano coraggiosi perché mettevano in atto ciò che io non avevo il coraggio di agire. E in questo adoro Ligabue. Ma anche questo lo avevo già detto…

Noi, ignari cercavamo sul campo la cura, cercavamo di prevedere i movimenti che avrebbe fatto il pallone con la stessa arroganza con cui la psichiatria cercava di prevedere i movimenti dei folli.

In cosa consiste l’arte di Ligabue. In cosa consiste la psicopatia e la follia

La produzione di Ligabue è un bestiario spettacolare.

La potenza materica delle sue pennellate ci fa osservare le immagini dandoci l’impressione di poterne avvertire la consistenza al tatto. La follia di Ligabue riesce a farci sentire i rumori dei felini ruggenti, gli starnazzi delle anatre e delle galline, i muggiti potenti e poi… e poi gli odori! Si mentre vai a una mostra di Ligabue ti sembra di sentire gli odori di urina e feci, gli odori della terra e del calore degli animali. Insomma la pittura di Ligabue è bella perché ci regala una esperienza sinestetica. Con gli occhi percepisci tutti gli altri sensi.

La potenza esecutiva ci aiuta a capire una cosa della follia ossia la altissima sensibilità dei canali percettivi.

La follia è sempre di chi ha un superudito, una supervista, un super olfatto. Ma non parliamo di superpoteri nel percepire il mondo materiale, ma delle capacità di contattare quello psichico. Un folle sente, odora e vede in modo cosi nitido le emozioni in tutte le loro sfaccettature, vede i propri bisogni in tutta la loro ambiguità, avverte l’odore della propria immarcescenza in modo violento.

La genialità più grande è la sensibilità alle forze più grandi (Henry adams)

Insomma mentre una buona parte di noi seleziona le emozioni buone e nega le cattive, nega i suoi bisogni turpi e avverte solo quelli socialmente indesiderabili (insomma confonde chi vorrebbe essere con chi è), il folle invece è costretto ad essere tutto se, deve essere tutto ciò che realmente è, con tutta la sua parte marcia in bella vista.

I quadri di Ligabue: animali nei sogni

I soggetti di Ligabue sono animali. Animali selvatici, oppure animali domestici che mostrano ancora un forte grado di selvatichezza. Ma cosa ci dicono quegli animali? Molto semplicemente gli animali portano con se una componente emotiva, un bisogno e una condotta tipica. In questo senso un animale in sogno è un terreno transizionale, è l’indicazione di ciò che preme da un punto di vista emotivo, di bisogno e di condotta. Questa indicazione non è sotto l’egida della morale sociale, ma è sotto la protezione della morale etologica che frantuma quella sociale, secondo la legge di Ananke, secondo necessità. Insomma un animale nei sogni giunge prima che abbiamo agito nel mondo una condotta, ci consente di sperimentarla oniricamente e di trasformare quella emozione e quell’immaginario dentro di noi per poi metterlo al mondo. E così fa Ligabue.

Psicopatia come repressione e Mancato agito

Ma, se psicologicamente abbiamo detto cosa sono gli animali, le pose di quelli di Ligabue sembrano essere tutte abortite. Gli animali nei suoi dipinti hanno gli occhi spalancati e esprimono un terrore evidente. Cavalli, galline, leoni, gorilla, buoi, tigri… tutti sgranano gli occhi, alcuni li strabuzzano. Tutti parlano nella loro lingua ma tutto sembra un enorme ruggito di paura. Sono animali nell’atto appena precedente all’attacco o fuga. Cristallizzati in quell’istante in cui la prossemica ci sta per obbligare o a fuggire o a aggredire. Ma in questo è la pazzia. La Pazzia è quando per poter rendere prevedibili i rimbalzi del folle, si genera una situazione in cui si tiene ferma la palla. Come quando dicevamo: Il pallone è il mio e me lo tengo io. La follia è quindi l’inibizione totale degli agiti che, in barba a Freud, sono curativi.

L’etimologia di “pazzo”, oltre che a colui che patisce, rinvia a “pactum” ossia “compresso”, e questo Riesce a metterlo molto ben in scena Ligabue.

Almeno questo vediamo da fuori. Eppure quegli occhi strabuzzanti sono così sgranati poiché osservano proprio il centro dell’anima. Osservano il crogiulo di tutti i bisogni e le emozioni che si contraddicono e starnazzano, ruggendo per ottenere attenzione o nitrendo per difendere uno spazio. Gli occhi degli animali di Ligabue non sono impauriti dal mondo che li circonda, quanto dal mondo intrapsichico. Stanno osservando quello!

Chiamate vi prego il mondo la valle del fare anima (J. Keats)

Allora è evidente che queste riflessioni su Ligabue e l’implicito invito a visitare una sua mostra, ci suggeriscono come la follia sia un privilegio, sia il palco reale da cui contemplare il palco su cui anima va in scena, con tutti, maestro, orchestra, attori, cantanti, pubblico, siparisti e macchinisti. Ma suggeriscono anche che l’abbacinante insieme delle immagini che conteniamo , o meglio che ci transitano, decide la forma che diamo al mondo fuori di noi. Chi ha una guerra in se, vive e vede un mondo in guerra fuori da se. Per questo ogni atto che compiamo nel mondo è sempre un atto che stiamo vivendo prima nell’anima.

Ma Hillman ci da una chiave

Quando scrive “dallo specchio alla finestra” ci ricorda che ogni azione sul mondo può aiutarci a compiere una azione dentro di noi. E se riuscissimo a ordinare, a parlare, a relazionarci con chi ci circonda, probabilmente anche tutte le immagini dell’anima ne risentirebbero divenendo più amichevoli. E magari quegli occhi potrebbero addolcirsi e talvolta anche chiudersi in un sonno leggiadro.

Basaglia?

Forse la stessa intuizione la ebbe il nostro caro Basaglia. Aprendo i manicomi suggeriva proprio che qualsiasi azione nel mondo era un’azione nell’anima. Ma se ogni azione è reclusa in un manicomio anche l’anima ne prenderà la forma. E Joker ci insegna, infine, che il nostro mondo sempre più si impegna a somigliare a quell’aia starnazzante o a quella giungla ruggente, non rendendosi più disponibile come campo di cura di se. Intanto raccogliete una carta ogni giorno da terra e gettatela nel cestino. La città resterà sporca mentre voi sarete più puliti e differenziati.

Uno psicopatico non sa immaginare l’altro, diceva Hillman? Cerchiamo intanto di fornirgli un mondo in cui poter fare esercizio dell’immaginazione.

Info sull'autore

Luca Urbano Blasetti

Psicologo e Psicoterapeuta; Dottore di Ricerca in Psicologia Dinamica sul tema Creatività e sue componenti dinamiche; Responsabile del Centro Emmanuel per Tossicodipendenti di Rieti presso cui cura diversi progetti regionali; autore di diverse pubblicazioni psicologiche; lavora nel suo studio.

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