La seduzione

“Tu, la più bella sei, pur se tempio non hai,
Né altare colmo di fiori… Si, lascia sia io il tuo coro e il pianto…
Lascia sia io la tua voce, il tuo liuto, il tuo flauto,
Il tuo incenso squisito che fuma dal turibolo scosso,
Il tuo santuario, il tuo bosco, il tuo oracolo e l’ardore
Voglio essere io il tuo sacerdote, e costruirti un tempio…” (J. Keats, Ode to Psyche”)

Tanti libri, intendo romanzi, si sono soffermati nell’apologia del transfert e del controtransfert. Oggi disponiamo di un’ampia bibliografia sul terapeuta che seduce la paziente, sul paziente che seduce la terapeuta, sulla terapeuta che fa l’amore coi pazienti e sui terapeuti che trovano nella sessualità agita con i pazienti il farmaco più efficace… quasi a dire che andare a letto con i pazienti è necessario alla guarigione. Ma è una bibliografia che rientra più nei romanzi d’appendice che nella letteratura accademica. Molte leggende girano su Jung e sugli junghiani in merito, ma direi che è il caso di fare chiarezza.

Seduzione etimologia sbagliata

Quando ci imbattiamo nella etimologia della parola “sedurre” spesso incorriamo nell’errore di farci sedurre. Ci seduce l’idea che sia parola composta da “se” più “durre” ossia condurre a se, portare verso di se. Ma questo non ci racconta della forza fascinatrice che è insita nella seduzione. Il potere quasi magico della seduzione lo ritroviamo allora nella sua natura sadica, e sulla contro-componente masochistica. Infatti “sedurre” rimanda a “Sed” più “durre”, da intendersi come “condurre altrove”, ossia condurre l’altro ove egli è meno potente. Il piacere nella seduzione sta proprio qui, ossia nel portare l’altro in un territorio dove noi possiamo averne una certa possibilità di dominazione. Allora la seduzione  è un gioco sadomasochistico in cui, di volta in volta, ci poniamo nel ruolo di dòmini o di slave… e questo è molto eccitante.

La Psicoterapia è seduzione per antonomasia

Se accettiamo questa seconda etimologia direi che la psicoterapia, la tanto deontologica psicoterapia, deve essere riconosciuta come la pratica per eccellenza che poggia sulla seduzione. Per quanto un, o una terapeuta si pongano in una posizione neutra, astinente, per quanto buona parte della terapia abbia abbandonato il lettino perché troppo osè, o perché stigmatizzava la asimmetria delle diade paziente terapeuta, per quanto poltrone identiche vogliano verbalizzare una parità di condizione, solo di rado questa parità c’è. Mentre molto più frequentemente, se non sempre, la terapia, si fonda sul fatto che “io so qualcosa di te che tu non sai”. Poggia sul fatto che il terapeuta sia il cosiddetto “colui supposto sapere”. L’astinenza di rado cura.

Sedurre a letto

La seduzione a letto poggia sulle medesime fantasia. Ah! Cara la mia amante, io conosco zone del tuo corpo che tu non osi esplorare, so come condurti in territori di piacere frammisti a sgomento, e lì invadere i tuoi anfratti odorosi ma, soprattutto quelli psichici. In quei pertugi della tua mente io di condurrò. Lì, nella tua anima, possiedo le chiavi per farti leggere e contemplare aspetti di te che ti sono altrimenti inaccessibili… o che eviti di esplorare. Insomma, abbandonando la poetica dell’eros, direi che la psicoterapia è la pratica in cui il presupposto pensato dalla psicologia del senso comune è che il terapeuta o la terapeuta conoscano perfettamente  i punti dolenti e quelli olenti e gaudenti dell’anima. Questo, però, è vero solo nella misura in cui è vero che anche i pazienti conoscano quelli dei o delle terapeute. Insomma quello che certamente è vero è che il piacere autoerotico, o il piacere nel sesso con partner che non contempli questo senso di dominanza, è solo la punta dell’iceberg dell’eros. Similmente se levassimo l’immaginario della seduzione alla psicoterapia le sottrarremmo la benzina, il fuoco, l’aria, comburente e combustione.

Transfert e controtransfert e la seduzione

Il terapeuta potrebbe effettivamente venir sedotto. Ma un buon terapeuta dovrebbe aver fatto un buon training per visitare i luoghi ove è meno potente e dove è più potente. Un buon terapeuta dovrebbe aver già fatto l’esperienza della seduzione terapeutica nella didattica per poterla usare nella pratica senza farsene possedere. Ma ahimé non sempre è così. Il transfert è il Sacro Graal della psicodinamica, ma non perché sia una grande scoperta ma solo perché è un nome nuovo da dare alla seduzione. Il paziente che afferma di essersi innamorato del terapeuta viene respinto nella mente del terapeuta che afferma, e a volte, dice al paziente, che quello è il transfert. Così raffredda il setting per evitare di venirne scaldato troppo. Ma il controtransfert è l’altro nome della seduzione quando questa investe il terapeuta prima del paziente. Detta così sembra un po’ una barzelletta ma, è veramente tutto qui.

Il Transfert non erotico non esclude la seduzione

Vero che non sempre il tabù sessuale investe il transfert. Potrei aver un emozione verso una terapeuta rispetto alla sua immagine come madre, oppure come padre. Insomma la psicoterapia è sempre la messa in scena del prototipo di relazione del paziente, e ogni paziente giunge con un vissuto di fondo: l’amore non corrisposto, la rabbia, la mancanza di stima ecc. e lo mette in scena di nuovo. Anche in terapia. Il terapeuta diventa l’attore con cui risperimentare quel prototipo per, secondo il punto di vista del paziente, riconfermarlo, oppure sostituirlo, e questo è invece il punto di vista del terapeuta.

La neutralità non è terapeutica

Ma se levassimo la coazione a ripetere, ossia la ripetizione del prototipo? Se levassimo transfert, controtransfert e, con loro, la seduzione stessa? Sembra proprio che la psicoterapia predichi questa astinenza, una sorta di algida presenza in cui lo psicoterapeuta diventa attore di una trama che non lo riguarda. Ci penso e ci ripenso ma so che se riuscissimo a eliminare questo eros, sarebbe come vedere uno di quei film di serie “D” con attori improvvisati che recitano. Ecco! Se il terapeuta recita, i pazienti reagirebbero come ognuno di noi di fronte a un pessimo esercizio attoriale. Se non ti dai a quella trama altrettanto non si darà il paziente. Allora qui sta il dilemma. Starei forse io istigando i professionisti ad agire quell’eros? Starei forse dicendo, in perfetto stile junghiano, che  agire la relazione fino in fondo è ciò che guarirà i pazienti? Direi che, sempre in stile junghiano, il veleno è nella dose e così anche il farmaco. Troppa seduzione avvelena la terapia, ma senza seduzione non c’è cura.

Quindi? Posso andare a cena fuori con il mio o la mia terapeuta?

Le questioni sono due. Una ha a che fare col concretismo e una con l’immaginale. Per iniziare mi muoverei su questo secondo piano dicendo che l’amore per la o il terapeuta, oppure l’amore per un paziente, ha sempre una verità immaginale, ossia è l’amore per l’idea, per l’immagine dell’altro in me. I pazienti si innamorano della funzione terapeutica, ossia quella funzione di autocura che proiettano sul terapeuta. Direi viceversa i terapeuti che si innamorano della pazienza dei pazienti. Lo so banalizzo ma diverrebbe troppo arduo fare ulteriori specificazioni. Qualsiasi azione che non abbia un livello psichico, insomma qualsiasi agito nel concretismo può, invece, solo interrompere il processo di relazione che sta avvenendo in immagine, dunque è antiterapeutico. L’altro livello è però quello concretistico… ci si deve dare!

Il corpo e la seduzione

Tornando al piano concreto, tornando alla materica componente della terapia, dobbiamo accettare il fatto che paziente e terapeuta si incontrano per il tramite del corpo e delle sensazioni. Vista, gusto, olfatto… non possiamo tapparci il naso in terapia e allora la seduzione avviene sul piano materico nella misura in cui raccogliamo queste sensazioni. Poi, quando queste iniziano a generare un impulso, la terapia inizia a sostare, non agisce, diviene ciò che sta nel mezzo, diceva Jung. Lì si erige la casa di Psiche. Chiudendo ermeticamente il vaso, non agendo, ma pur sempre contemplandola, lei, sua maestà la seduzione, diventa suddita di Psiche. Si perché un bravo psicoterapeuta non evita di agire o subire la seduzione, perché non deve, perché non è deontologico, ma solo perché è talmente forte l’amore che ha per Psiche che non esiste amante che lo potrà distogliere da quel legame. La terapia allora sente gli odori, vede la bellezza dei pazienti, guarda le gambe della paziente o il pettorale del paziente, si fa affascinare dal turbinio rabbioso, dalla malinconia bluastra, anche fino a creare fantasie e reazioni fisiche nei terapeuti. Allora loro, i terapeuti si contempleranno come strumenti di misura della relazione. Ecco, è una questione di misura qualla da tenere e poi da restituire. Mi misuro, ti misuro, misuratamente.

Concludendo

Dunque, non mi capita spesso, ma sarò categorico. Agire la seduzione nella terapia è un grave errore terapeutico. Questo non lo rende un errore nella vita. Potrebbe essere assolutamente romantico e esistenzialmente plausibile, incontrarsi fuori dal setting, fuori dalla stanza d’analisi, amarsi pazienti e terapeuti, come se non ci fosse un domani. Ma in genere questo indica che il setting manca nel o nella terapeuta. Ogni terapeuta ha una stanza  psichica, un temenos che è un recinto sacro. Ogni paziente ha la recondita speranza di invaderlo, di sconfinare. E a questo desiderio corrisponde quello, simmetrico, del terapeuta. Ma quella è la casa di Psiche e se non viene protetta, se si fa troppo permeabile alla dimensione materica allora lei, Psiche svapora. Ma non perché la stiamo uccidendo, ma soltanto perché se ne va. Psiche si concede con parsimonia, ci seduce, vuole essere sedotta ma non agita. Dunque se, in barba al codice deontologico, sei a cena col tuo o la tua terapeuta, ok. Ma tieni conto che significa che non hai mai fatto psicoterapia. Se sei il terapeuta allora chiediti se quello è il lavoro giusto per te.

P.S. CLICCA QUI per leggere La sessualità tra psicologo e paziente

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Info sull'autore

Luca Urbano Blasetti

Psicologo e Psicoterapeuta; Dottore di Ricerca in Psicologia Dinamica sul tema Creatività e sue componenti dinamiche; Responsabile del Centro Emmanuel per Tossicodipendenti di Rieti presso cui cura diversi progetti regionali; autore di diverse pubblicazioni psicologiche; lavora nel suo studio.

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