Il postino e la psicologia archetipica
Era l’anno 1994 quando uscì nelle sale cinematografiche “Il Postino”, diretto da Michael Radford e ultima fatica di Massimo Troisi. L’attore e regista morì appena dodici ore dopo la fine delle riprese senza mai vedere il suo lavoro ultimato. Un dolce testamento che ha lasciato a tutti noi e che merita che di essere riletto a 25 anni dalla sua produzione.
Qui si vuole posare uno sguardo psicologico alla pellicola con il metodo della psicologia archetipica. Come si è più volte scritto, ma non è mai abbastanza, ogni prodotto umano è proiezione di psiche che esprime se medesima in immagini e quale luogo migliore di espressione se non quello offerto dalla settima arte.
Il film
Il poeta Pablo Neruda, interpretato da Philippe Noiret, viene mandato al confino, per via della sue idee politiche comuniste, in una piccola isola del sud Italia. L’arrivo dell’illustre ospite sconvolge le tranquille vite dei pescatori isolani e Mario Ruoppolo, col volto di Massimo Troisi, viene assunto come postino personale dell’unico abitante che riceve posta. I due stringeranno un profondo legame cullati dal mare campano e scossi dalle metafore ardentemente decantate. Si ritroveranno, così, a parlare di amore, passioni e bellezza.
Il poeta e il postino: un mentore e un allievo
Tra i due uomini si stringe un profondo legame che si va consolidando ad ogni incontro. Poeticamente Mario viene traghettato verso la conoscenza sulla intima natura delle cose, una conoscenza che possedeva a priori ma non espressa perché non aveva le parole che le potessero dare forma. Quella forma che sarà Neruda a donare, donando un libro di poesie. Il rapporto dei due può essere paragonato a quello di un mentore con il proprio allievo. Sono incontri inaspettati, magari fugaci, di certo mai dimenticabili.
Il mentore è una persona che vede qualcosa di essenziale […] Vedere è credere, credere in ciò che si vede, e questo fatto conferisce immediatamente il dono della fede alla persona o alla cosa che riceve lo sguardo. Il dono della vista è superiore ai doni dell’introspezione. Perché tale vista è una benedizione: trasforma. (J.Hillman, Il codice dell’anima, pp. 155-159)
Il mentore è colui che non vede la persona nel momento presente ma la vede nella sua potenzialità futura, vede oltre ciò che gli si mostra davanti. L’immaginazione del mentore si innamora della fantasia di un altro. È un gioco di innamoramenti e di disvelamento: togliere il velo delle proprie convinzioni per giungere alla intima natura delle cose.
Neruda si innamora della fantasia di poesia custodita in Mario e come un mentore, lo accompagna alla scoperta della poesia, dell’amore e del mondo.
Sulla poesia e sull’amore
Il compito del poeta è quello di traghettare il postino verso il luogo dell’oltre, il luogo della metafora e della psiche. È un compito complesso come è complessa la natura umana.
Mario: a me piace pure quando ha scritto “sono stanco di essere uomo” perché è una cosa che pure a me succede però non lo sapevo dire e quando l’ho letto mi è piaciuto molto … perché “l’odore dei parrucchieri mi fa piangere”?
Neruda: ma vedi Mario, io non so dire quello che hai letto con parole diverse da quelle che ho usato. Quando la spieghi, la poesia diventa banale. Meglio di ogni spiegazione, è l’esperienza diretta delle emozioni che può svelare la poesia ad un animo disposto a comprenderla.
La poesia non può essere spiegata ma solo goduta. Culla, rende tristi o fa ardere il petto. Genera emozioni parlando per metafore perché si rivolge direttamente alla base poetica della psiche di ognuno. È un linguaggio che va ad incidere direttamente sull’anima, richiamandola dalla sua dimora. La poesia libera l’immaginazione per cogliere la profondità dell’esperienza diretta con le immagini così che l’esperienza diventi intimamente personale e al contempo universale. La metafora ha il potere di portare oltre ogni evento e questo viene restituito all’anima.
“E’ colpa tua se mi sono innamorato… perché mi hai insegnato ad usare la lingua non solo per attaccare francobolli!” (Mario a Pablo Neruda)
Sta qui uno degli insegnamenti del poeta al postino. Da mentore gli insegna l’arte della parola. La lingua che diventa tagliente, un’arma di seduzione per la bella Beatrice.
Le parole, come gli angeli, sono potenze che esercitano su di noi un potere invisibile. Sono presenze personali dotate di intere mitologie: generi, genealogie (etimologie concernenti le origini e le creazioni), storie e voghe; e hanno inoltre specifici effetti protettivi, blasfemi, creativi e annientanti. Perché le parole sono persone. Questo aspetto delle parole trascende le loro definizioni e i loro contesti nominalistici ed evoca nelle nostre anime una risonanza universale. (J.Hillman, Re-visione della psicologia, p. 43)
Mario che si fa eloquente per amore. Affronta la sua paura delle parole fino a farsi spregiudicato per conquistare il cuore dell’amata.
Mario: Don Pablo, vi devo parlare, c’è una cosa grave … è importantissimo. Mi sono innamorato!
Neruda: bene … non è molto grave … c’è rimedio
Mario: no no! che rimedio. No! don Pablo quale rimedio. Io voglio stare malato. Mi sono innamorato. Innamorato!
L’amore è una malattia nella misura in sui contagia e non possiamo giungere all’anima dell’immagine se non proviamo amore per l’immagine stessa.
Sul mondo
Mentre la vita scorre apparente tranquilla, i due uomini si ritrovano, seduti uno accanto a l’altro, ad ammirare il mare e tornano a parlare di poesia e metafore. In verità il loro dialogo poetico non smette mai, ad ogni incontro si completa di nuovi particolari, piccoli dettagli, mille sfaccettature che sembrano creare un dolce canto a due. Avanti e dietro come le onde del mare, sempre a battere sullo stesso scoglio che si va plasmando e allisciando. E il mare ispira la domanda ultima:
Voi volete dire allora … che il mondo intero … è la metafora di qualcosa? (Mario a Pablo Neruda)
L’insegnamento è giunto al termine. Per il poeta può ritornare alla sua vita. L’esilio è finito e può ripartire per ritornare alla sua vita cosmopolita così tanto diversa da quella dell’isola. Eppure tornerà dopo anni per scoprire che il suo semplice compagno aveva lasciato a sua volta un dono. I suoni dell’isola per ricordarsi di lui, del tempo condiviso insieme e del luogo che avevano abitato.
Conclusioni: chi il mentore e chi l’allievo?
La vera poesia del protagonista interpretato da Massimo sta nei nastri che fa, nei ricordi delle cose della sua isola, nel fatto che fa parte di quella terra da cui cerca sempre di scappare per trovare un altro sogno, ma la lezione che impara è che è legato all’isola. Lui è un grande poeta ma in un altro modo quindi per me la poesia è nel tutto, nella letteratura ma anche nelle azioni, nella gestualità, nelle espressioni. D’altra parte il verso che credo tutti conoscano di Pablo Neruda (confesso che ho vissuto) vuol dire che evidentemente vita e poesia erano molto legati. (M.Radford, Regista de Il postino)
Si può cadere nell’errore di credere che il dono della poesia sia riservato a pochi eletti. Loro, i custodi di questa antica arte, sono gli unici che possono esprimersi per versi, che possono cogliere la bellezza del mondo e decantarla sapientemente. Se non si è poeta, non si può cogliere la vita poeticamente. Eppure Mario insegna, questa volta a tutti noi, che la poesia non è il componimento ma sta negli occhi di chi legge, di chi guarda, di chi si sofferma e ammira l’infinite metafore che il mondo offre. Tutto può essere osservato con gli occhi del poeta basta rendersi visibili agli insegnamenti che il mondo offre.
P.S. CLICCA QUI per leggere la lettura archetipica del film “Il favoloso mondi di Amélie”