La Vittoria di Magritte e la psicoterapia

Lo studio di uno psicoterapeuta è paragonabile a un aeroporto. Sono luoghi di passaggio che ci accompagnano in nuovi luoghi. Mille interrogativi ci assalgono e mille fantasie si fanno posto tra i nostri pensieri. Sarebbe bello se fossero luoghi di vetro, in cui nessuna parete ci copre quello che andremo a scoprire.

Oltre la porta

I sogni non vogliono farvi dormire, al contrario, vogliono svegliare. (Magritte)

E se tutte le pareti fossero trasparenti, beh, saremmo in un quadro. In ogni caso, la prima cosa che ci troviamo di fronte, entrando per la prima volta dallo psicoterapeuta o in un aeroporto, è una porta.

Questo mi ha fatto pensare al quadro di Magritte “La vittoria’’ (1939). Un olio su tela che ha come protagonista una porta semi-aperta, una porta che sembra invitarci ad andare oltre. A differenza dello studio di uno psicoterapeuta è una porta che ci lascia già intravedere il contenuto: il mare. Simbolo dell’anima, della nostra interiorità. Quella di Magritte sembra proprio la porta di uno studio e la nuvola che si trova a metà tra l’entrare e l’uscire dà proprio l’idea di uno psicoterapeuta che si trova sulla linea di confine. Un confine tra l’aridità di una scogliera sabbiosa e l’immensità del mare. E il terapeuta sembra al di fuori dell’immagine, ad aspettare le mosse del paziente per poter procedere o indietreggiare.

In un incontro con uno psicoterapeuta dalla porta iniziano i nostri pensieri su cosa ci sarà dietro, su chi troveremo e su come si svolgerà il tutto. Per chi non ha mai affrontato una esperienza simile, beh, si prepari: queste domande resteranno senza risposta per un bel po’ di tempo. Per prima cosa, ci accorgeremo che abbiamo un disperato bisogno di una porta, di quella porta, di una soglia che traccia un confine reale. Impareremo, poi, che ci sarà sempre qualcuno in grado di girare la serratura quando siamo rimasti bloccati, in grado di spingere con noi la porta se qualche resistenza ne ostacola l’apertura, impantanati in angoli non ancora scoperti. Magritte ci invita a superare i nostri confini. Abbatte tutti i confini reali e ne lascia solo uno: una porta senza fondamenta. L’unico confine nel quadro è una barriera immaginifica. Ed è un campanello per tutti noi: la barriera più difficile da superare è quella che ci creiamo da soli.

Nel momento in cui abbiamo deciso di rivolgerci ad uno psicologo abbiamo già superato tante soglie: quelle della paura, dei pregiudizi e di tutti i luoghi comuni.  Con il terapeuta andremo a scoprire nuovi confini, nuovi limiti, nuove barriere con cui confrontarci.

Quella di Magritte è una porta senza fondamenta, dicevamo, senza mura, una porta che non sappiamo bene da cosa venga retta eppure si erge enigmatica tra terraferma e mare. La porta diventa metafora anche per lo psicoterapeuta. Questa figura sembra reggersi e districarsi tra il consapevole e l’inconsapevole del paziente, lasciandosi andare come la nuvola.

Accade, però, che ci sono porte rimaste chiuse per decenni, porte sbattute in faccia. Ci sono soglie che, oltrepassate, si sono chiuse la porta dietro per sempre. Soglie che portano a nuovi inizi o a vecchi racconti. Soglie che superate portano al goal o alla sconfitta più grande. Porte lasciate socchiuse, dove non c’è bisogno di bussare. Certo è che oltrepassare una soglia fa paura. Figuriamoci se questa soglia ci porta a sederci in una stanza d’analisi e ancor di più ci porta davanti a noi stessi, alla nostra ombra. Lo psicoanalista Antonio Semi nel suo libro ‘’Tecnica del colloquio” pone l’accento sull’importanza del luogo, stanza d’analisi, ritenendo di fondamentale importanza la porta che segna il confine, il limite tra il dentro e il fuori non solo della stanza ma anche del paziente stesso.

Magritte rappresenta un oltre di nuvole e mare, che stacca nettamente dalla soglia immaginifica. C’è un distacco netto. Possiamo immaginare che oltre la soglia ci sia un precipizio, un profondo burrone. La porta socchiusa è un invito a sporgerci o magari a tuffarci.

La porta dell’ascolto

Davanti alle nostre ”porte” siamo come bambini in cerca d’aiuto per passare da una camera all’altra pur essendo casa nostra. E da bambini abbiamo paura del buio. Ci spaventa ciò che si può nascondere nel buio, nella nostra oscurità. Nel buio e nella nostra ombra si possono nascondere i mostri peggiori e, allo stesso tempo, tutta la nostra energia.

Se nell’oscurità dell’ignoto riusciamo a vedere il nostro psicoterapeuta siamo ad un passo dall’aver compreso che le più grandi porte vanno aperte dall’interno per giungere al cambiamento. La porta che ci conduce nella stanza d’analisi è una porta dell’ascolto.

Mi piace pensare così la porta di Vittoria: una porta che apre all’ascolto.

L’ascolto, dote sempre più rara e difficile da incontrare. Eppure, ne abbiamo un disperato bisogno. Sentire non basta più. Lo psichiatra novarese Borgna alla domanda “Di cosa hanno più bisogno gli esseri umani?” rispose che avevano un desiderio sconfinato di essere ascoltati. Lo psicoterapeuta deve essere in grado di ascoltare accogliendo l’altro in se stesso. Deve essere l’orizzonte che si apre dopo la porta di Magritte.

Arriva per ognuno di noi un momento della nostra vita dove vorremo solo essere ascoltati, vorremmo una persona davanti a noi capace di ascoltare i nostri sospiri più flebili e le nostre urla più acute. Qualcuno in grado di saper ascoltare anche i nostri silenzi. Uno psicoterapeuta capace di buttar giù le porte e far sì che le varie parti del paziente si contaminino a vicenda per purificarsi. Non a caso l’opera si chiama Vittoria, forse Magritte pensava che una volta tolto il confine immaginario tra terra e mare ci si potesse ritenere vincitori. Sperimentare l’euforia di un tuffo da una scogliera è l’euforia di una vittoria. Conoscere ciò che si nasconde oltre le soglie dei nostri limiti inconsapevoli può essere la più grande vittoria.

Conclusioni

Il percorso terapeutico è un continuo girovagare tra porte. Si oltrepassa la soglia per porci dinnanzi al presente, ma ci si ritrova nella stanza del passato. Chiudendo la porta ci si sente già ad un passo dal confine futuro.

In un percorso terapeutico siamo costantemente sospesi su una scogliera. Siamo circondati da mura e barriere. Sentiamo il desiderio di superare le nostre Colonne d’Ercole, ma molto spesso rimaniamo chiusi dentro, imprigionati in un confine. Ed il più difficile da superare è quello che ci autoimponiamo. E una nuvola di passaggio può esserci il miglior aiuto. Magritte, con Vittoria, ci invita a superare le porte dei nostri confini. Ci pone una nuvola da seguire e un invito a tuffarci dall’aridità nel nostro mare.

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Info sull'autore

Teresa Di Matteo

Psicologa, Psicoterapeuta in formazione

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