La frenesia collettiva
Il termine più appropriato per descrivere l’eccitazione natalizia penso sia frenesia.
Nell’articolo precedente Il Natale l’abbandono: la stanchezza di Ungaretti abbiamo messo in evidenza come le feste natalizie siano un propellente che libera un’enorme quantità di energia psichica. È chiaro che l’energia di cui parliamo non corrisponde a forze fisiche quantificabili ma è riconoscibile in uno stato di agitazione collettiva nel quale convergono diversi aspetti rappresentativi della nostra cultura e degli immaginari dominanti che innumerevoli secoli hanno consolidato.
Parliamo dunque di una frenesia collettiva:
Eccitamento e agitazione riscontrabili negli episodi di mania (U. Galimberti, Dizionario di Psicologia, Utet, Torino, p.413).
Le frenes erano nella psicologia degli antichi greci gli organi situati nel plesso solare, lungo il diaframma, tra il cuore e le viscere.
L’azione delle frenes ha implicazioni ‘emozionali’ (R. B. Onians, Le origini del pensiero europeo, Adelphi, Milano, 2011, p. 36).
Attraverso le frenes gli Dei si facevano sentire, le spinte dei caratteri archetipali uscivano tramite gli stati emotivi del corpo e lo agivano possedendo l’eroe.
Abbiamo visto come l’eccitazione sia anche il veicolo di uno stato opposto, la stanchezza ed il bisogno di riposo. Sappiamo infatti che i contenuti psichici chiamati immagini hanno la caratteristica di essere ambivalenti, una proprietà dei sentimenti dettata da complicate relazioni che legano tra loro il piacere ed il dolore. In questi giorni l’atteggiamento convenzionale straripa dai suoi limiti ed si apre ad più ampio confine delle emozioni libere lasciando i più fragili alla deriva di cadute depressive o sperperi maniacali. Le frenes si fanno più sensibili lasciando così emergere comportamenti tipici a cui non si può porre un argine.
Durante le feste si può e si deve mangiare di più
Le feste sono sempre state momenti in cui è lecito e permesso il consumo eccessivo di risorse, in particolare di risorse alimentari. Prima ancora di pensare alle feste come momenti di raccoglimento ed elevazione spirituale dobbiamo ricordarci che esse sono il momento in cui tradizionalmente si poteva mangiare di più e dare fondo a tutte le primizie stipate proprio per l’occasione.
Si poteva e si doveva mangiare tutto ciò che non era possibile consumare durante l’anno per via delle restrizioni dovute ad un regime imposto dal lavoro e dalla povertà. Le nostre feste natalizie nascono all’interno di un preciso calendario di origine agricola che rispetta i tempi delle attività legate al ciclo della terra, delle semine e dei raccolti.
Le società che accumulano ricchezza, che fanno magazzino, dunque tutte le società sedentarie agropastorali, rispettano dei riti in cui periodicamente si dà sfogo al consumo di beni materiali. Se vogliamo capire quali siano le rappresentazioni psichiche che realmente influenzano i nostri desideri ed il mix di odio/amore nei confronti del Natale è opportuno che abbandoniamo la superficie delle retoriche e dei luoghi comuni associati al consumismo ed al moralismo cristiano.
Dovremmo invece scendere negli strati sottostanti osservabili attraverso la lente delle tradizioni popolari e delle ritualità più arcaiche perché lì troveremmo un’origine più sincera e genuina degli immaginari natalizi.
Origine dei riti
L’albero di Natale, lo scambio dei doni, il consumo spropositato di cibo, il bisogno di lavarsi la coscienza dando qualcosa a chi è in disgrazia, sono tutte azioni che hanno origine in antichissimi principi di reciprocità e di ridistribuzione delle ricchezze.
Oggi questi gesti sono divenuti nella maggior parte dei casi meramente simbolici, nel senso che vengono fatti senza dover avere degli esiti effettivi e solo per soddisfare il sentimento di obbedienza all’archetipo della ricchezza.
Ammucchiati sul pavimento, in modo da formare una specie di trono, erano tacchini, oche, selvaggina, pollame, cosciotti, grandi pezzi di carne, porcellini da latte, lunghe ghirlande di salsicce, pasticci di carne, pudding, barilotti di ostriche, castagne arrosto roventi, mele rosse, arance succose, pere succulente, torte smisurate e ciotole fumanti di punch… (C. Dickens, Un canto di Natale, Newton-Compton, Roma, 2009).
Si soddisfa quindi un’immaginario arcaico che s’impone sulle masse con tutta la forza tipica delle vere potenze psichiche. Altrimenti, come ci spieghiamo l’eccesso di consumi tipico di questi giorni? Non credo che questo abbia a che fare con l’abilità dei commercianti e neanche con internet o con fantomatiche teorie complottiste. Quando c’è stata abbondanza di cibo si è sempre dato fondo al consumo. Chi ha la polvere spara dice il proverbio.
Quel ‘si deve’, quel rispetto della tradizione che tante volte si sente anche dai più anticonformisti è l’esempio eclatante della spinta archetipale che ti fa sempre ritrovare in casa un panettone o un improbabile cotechino che pure il cane schifa.
Conclusioni
Se vogliamo capire che significa psiche collettiva o immaginario dominante dobbiamo studiare il Natale nelle sue code chilometriche al pescivendolo, nell’insulso eccesso di pietanze ai cenoni e nell’inspiegabile sfilza di messaggi e gif natalizie che intasano i cellulari.
Gesti immancabilmente deprecati da tutti ma che ogni anno vengono assolti con pervicacia tipica del più rodato atteggiamento ossessivo compulsivo. Proviamo a guardare tutto questo senza pregiudizi ma con occhio puro e trasparente come faceva l’alchimista mentre contemplava i suoi intrugli nell’ampolla.
E Gesù? Dopo, parliamone dopo cena. Tanti auguri… a voi e famiglia!