Diagnosi e Medusa
Perseo volò verso occidente, fino alla terra degli Iperborei, dove trovò le Gorgoni addormentate, fra grigie statue, consunte dalla pioggia, di uomini e belve pietrificati da Medusa. Perseo fissò lo sguardo sull’immagine di Medusa riflessa nello scudo, Atena guidò la sua mano e con un solo colpo di falcetto decapitò il mostro; allora, con sua grande sorpresa, vide balzar fuori dal cadavere il cavallo alato Pegaso e il guerriero Crisaore, con una falce dorata in mano. Perseo non sapeva che Poseidone aveva generato questi esseri in Medusa all’ombra di un tempio di Atena, ma decise di non affrontarli, e riposta in gran fretta la testa nella magica sacca si alzò in volo (R. Graves, I Miti Greci, Longanesi, Milano, 1963, p.215).
Ogni tipo di diagnosi che la psicologia e la psichiatria hanno partorito risponde alla necessità di conoscere quale immagine psicologica si sta animando nei sintomi che si presentano e, di riflesso, di conoscere sé stessi.
Nel ‘900 le professioni della salute, come un ancestrale Adamo, si sono occupate di dare un nome alle strane forme sintomatologiche che come animali biblici si sono trovate davanti. Ad ogni diagnosi psicodinamica corrisponderebbe quindi un determinato tipo di anima o animale psicologico. Dando un nome a un sintomo o a un gruppo di sintomi si è cercato di nominare, e quindi instaurare una relazione con le immagini sintomatiche, nella speranza che la classificazione fosse il primo passo per la messa a punto di terapie in grado di redimere dalla pietrificazione sintomatica i pazienti. Questo liquefare la pietra è stato chiamato cambiamento.
Diagnosi viene dal greco dia-gnosis che vuol dire per mezzo della conoscenza o conoscere attraverso.
Stando all’etimologia la diagnosi non è una truce sventura, ma un mezzo di conoscenza.
Perché allora si ha paura di ricevere una diagnosi psicologica o psichiatrica?
Diagnosi e pietrificazione del significato
La Gorgone Medusa aveva serpenti in luogo di capelli, lunghissimi denti, lingua sporgente e un volto così orribile nell’insieme che chiunque l’avesse guardato rimaneva pietrificato dal terrore (R. Graves, I Miti Greci, Longanesi, Milano, 1963, p.214).
Credere che la diagnosi sia un’affidabile descrizione del proprio carattere imprime l’esperienza dell’essere al cospetto di Medusa in carne ed ossa. L’esito è la pietrificazione.
Si inizia a sospettare che, se si sospetta, è perché si è paranoici. Nessuna azione, pensiero o fantasticheria è libera, ma è determinata dal carattere malato di cui non ci si può più fidare. Si inizia ad interpretare ogni stato d’animo a partire dall’etichetta diagnostica. La mente diventa il nemico. Allora si può smettere di pensare o agire per impedire al disturbo del carattere di disturbare. L’inibizione comportamentale e del pensiero testimonia che si è divenuti immobili come una statua di pietra.
Ciò indica che il seme del significato è stato piantato dalla diagnosi. Oltre alla pietrificazione si è ricevuta un’immagine caratteriale da cui la mente attinge copiosamente significato psicologico.
La diagnosi ha restituito significato psicologico a eventi della vita che sembravano semplicemente accadere.
Eppure, se è attraverso la diagnosi che si conosce, perché ha necessariamente un effetto pietrificante? Forse bisogna ricordare che la diagnosi è come lo scudo di Atena per Perseo: mette distanza tra la l’individuo e il carattere tramite la riflessione. Importante diventa sapere che si sta guardando in uno specchio e quindi usare la diagnosi come primordiale mezzo di riflessione.
Riflettere la diagnosi: lo scudo di Atena
Lo scudo di Atena donato a Perseo permette all’eroe di non pietrificarsi. La peculiarità dello scudo è che riflette e spezza il potere dello sguardo di Medusa. Perseo quindi non guarda Medusa, ma il suo riflesso. Questo passaggio fa intuire che forse la diagnosi è pietrificante solo se viene presa come la descrizione certa del carattere, impedendo così una genuina e personale riflessione. D’altronde l’osservazione è inutile se il carattere è già noto. La diagnosi come mezzo di riflessione invece produce conoscenza ed evita di bloccare il pensiero e l’agito.
La diagnosi insomma è solo la prima porta d’accesso al mondo psicologico. Ritenere che sia onnicomprensiva blocca il processo psichico impedendo la riflessione individuale su di sé. Siccome la capacità di riflettere sugli stati psicologici deve essere portata avanti dall’individuo la pietrificazione diagnostica assume nei tempi moderni il ruolo di un’iniziazione segnante che riporta il significato degli eventi di vita alla sua fonte psicologica.
Conclusioni: la necessità di fissare con lo sguardo
La diagnosi nella sua accezione etimologica e psicologica non è prerogativa esclusiva del professionista sanitario. Lo sguardo diagnostico è una necessità individuale. Ha a che vedere con lo sguardo che riconosce gli eventi psicologici da cui emerge il significato e, nel fare ciò, uccide ogni volta Medusa, se ne appropria e mette la sua testa direttamente sullo scudo di Atena.
La capacità di diagnosi diventa allora la capacità individuale di guardare alle forme dell’anima e di fissarle, farne pietra come se fossero materia, e iniziare con tale sostanza il lavoro psicologico.
P.S. CLICCA QUI per leggere la nostra intervista a Giorgio Antonucci su Psichiatria e Psicofarmaci