Gli ultimi libri di Jung ed Hillman
di Riccardo Brignoli
Le ultime due grandi opere scritte da Carl Gustav Jung e James Hillman sono di alchimia. Per Jung il suo Mysterium Coniunctionis costituì l’apice della riflessione sui rapporti tra psicologia ed alchimia e con esso egli chiudeva il suo contributo storico e teorico dato alla psicologia. Hillman chiude la sua carriera letteraria con il volume ‘Psicologia alchemica’, quasi a fare un tributo al suo maestro e lasciando all’alchimia l’ultima parola sul futuro della psicologia.
Tuttavia la visione dei due maestri su questa materia è molto diversa e rispecchia la loro personalissima lettura della pratica psicologica.
Jung e la scoperta dell’alchimia
Jung riscoprì l’alchimia trovando in essa una sorta di filo conduttore che divenne il fondamento storico e teorico della sua psicologia.
Le esperienze degli alchimisti erano, in un certo senso, le mie esperienze, ed il loro mondo era il mio mondo. Naturalmente questa fu per me una scoperta importante: avevo trovato l’equivalente storico della mia psicologia dell’inconscio. Ora essa aveva un fondamento storico (C. G. Jung, Ricordi, sogni, riflessioni, Bur, Milano, 2004, p. 250).
A metà degli anni ‘20 l’impianto teorico della psicologia analitica era completo. Basta leggere Tipi Psicologici e le opere di quel periodo per averne un’idea. La psicologia complessa, quella degli archetipi, dell’inconscio collettivo e della teoria dei tipi era definita e sostenuta anche da una teoria energetica chiara e coerente. Lo Jung psicologo, diremmo accademico ed ufficiale, era concluso. Questo è anche lo Jung maggiormente conosciuto e la sua teoria è quella più utilizzata in psicoterapia. Le successive ricerche di Jung sono un vero e proprio salpare oltre le colonne d’Ercole. Nel decennio che seguì, l’immersione nei testi alchemici lo portò verso un modo diverso ed originale d’intendere i processi psichici. L’innesco fu dato dallo studio del testo cinese Il segreto del fiore d’oro, manuale di alchimia interna che fondeva insegnamenti buddhisti e taoisti ad un metodo di trasformazione tipicamente alchimistico.
Attraverso lo studio dei processi individuali e collettivi di trasformazione, e grazie alla comprensione del simbolismo alchimistico, pervenni al concetto centrale della mia psicologia: il processo d’individuazione (C. G. Jung, Ricordi, sogni, riflessioni, Bur, Milano, 2004, p. 255).
L’inconscio iniziò ad essere riconosciuto come attività psichica impersonale caratterizzata da particolari modi di rappresentarsi e soprattutto da un linguaggio proprio che si poteva rintracciare nei simboli e nelle esperienze religiose. L’alchimia permise però di non fare quello che lo stesso Jung cercava di evitare, ovvero tradurre e ridurre a concezioni psicologizzanti aspetti dell’esperienza umana associati alla dimensione del sacro e dello spirituale.
L’opera di Jung rispecchia gl’interessi dell’autore legati alla realizzazione umana e cosmica e dunque strettamente interessati a problemi come il rapporto con Dio e la trascendenza. Con la scoperta dell’alchimia Jung ritenne di aver trovato una soluzione: l’essere umano poteva realizzare il proprio rapporto con il mondo spirituale attraverso un processo di trasformazione psichica slegato dalla fede e dalla credenza religiosa. Il processo d’individuazione dava una traccia allo sviluppo della persona travalicando il dualismi tipici tra materiale e spirituale nonché tra etica ed azione.
La psiche era una dimensione concreta, sperimentabile attraverso l’esperienza ed il destino di un essere umano si determinava mediante il rapporto che riusciva a stabilire con le sue forze impersonali. Esse erano al contempo numinose, sacre all’occhio profano, ma anche fisiche ed empiriche, tanto da poter essere oggetto di studio della moderna fisica, come dimostrano le pionieristiche collaborazioni con W. Pauli.
Ed Hillman?
Sembra che James Hillman abbia preso ispirazione dalle inclinazioni spirituali del maestro per trovare invece la sua strada più orientata sulla prospettiva artistica. Il punto assolutamente condiviso e sostenuto da entrambi resta la psiche indipendente ed autonoma. Ma l’attenzione si sposta sul linguaggio.
In breve, questa è la mia tesi: accanto alla teoria generale della trasformazione alchemica e accanto ai parallelismi particolari tra l’immaginario alchemico e il processo d’individuazione, è il linguaggio dell’alchimia che può rivelarsi l’aiuto più prezioso per la terapia junghiana. Il linguaggio alchemico è una modalità di terapia; è terapeutico in sé (J. Hillman, Psicologia Alchemica, Adelphi, Milano, 2011, p. 16).
L’automonia della psiche è totale, anche dal confine dello spirito, diventando un percorso di realizzazione fine a se stesso, scevro dal bisogno di emancipazione e salvezza tipico dello spirito.
Dunque il linguaggio deve essere una componente essenziale della mia nevrosi. Se sono nevrotico lo sono nel linguaggio (J. Hillman, Psicologia Alchemica, Adelphi, Milano, 2011, p. 17).
L’alchimia di Hillman cerca di essere una grammatica dell’immagine quando viene letta nei suoi passaggi trasformativi, nel come avvengono gli spostamenti di forma e significato attraverso le metafore chimiche così attente ai passaggi di stato, alle mutazioni cromatiche ed alle qualità sensoriali. L’alchimia è uno sfondo immaginale che aiuta a trovare trame nel racconto psicologico.
Innanzitutto, sto provando a costruire un metodo per la psicologia, il metodo della narrazione di storie. Le storie non hanno pretese di dimostrazione né di verità. (…) Questo è anche un metodo empirico, in quanto parte da esperienze concrete e vi si attiene il più possibile (J. Hillman, Psicologia Alchemica, Adelphi, Milano, 2013, p. 353).
Sembra che ciò che colleghi completamente Jung ad Hillman sia l’esigenza di empirismo, di esperienza diretta ed immediata come direbbe Wundt. Entrambi vedevano nel materiale offerto dall’alchimia la possibilità di una sperimentazione e di una pratica con il materiale psichico spontanea e lontana da imposizioni dettate da dogmatiche o paraocchi mentali. L’alchimista diventa così il prototipo del libero pensatore che decide di mettersi a confronto diretto con se stesso in totale autonomia e libertà di giudizio. È una pratica di confine e di esplorazione dell’ignoto, di ricerca libera ed indipendente.
Conclusioni. E noi nevrotici dell’ultima ora?
Nel suo piccolo, ogni nevrotico si trova di fronte all’ignoto quando sceglie di affrontare il suoi disagi fuori da ogni contesto regolamentato e come spesso accade non per scelta ma per disperazione. Perché le medicine non funzionano, perché il dottore ed i parenti dicono che non abbiamo nulla e non dovremmo star male, perché l’insoddisfazione della vita si sente nella mancanza di stimoli e nell’abbrutimento della quotidianità.
La prospettiva del linguaggio alchemico permette di vedere le nevrosi da un punto di vista più ampio non in termini razionali tipo: facciamo il punto della situazione ed identifichiamo difetti ed obiettivi da raggiungere. Il linguaggio alchemico mette i dolori dentro parole che li fanno sentire diversamente ed aiuta a cambiarli cambiando il senso di quello che sentiamo di essere. Non c’è cura psichica senza crescita personale. L’alchimia è l’arte di trasformare l’anima. Quando si capisce questo si è già a metà dell’opera.