Relazione e paradossi
Sarai sicuramente d’accordo con me se dico: l’incontro con l’altro è importante e mi permette di crescere.
Tuttavia questo articolo non vuole essere l’ennesimo elogio alla relazione, né tantomeno una sviolinata romantica. Piuttosto è un’analisi psicologica della relazione, intesa come incontro con l’altro e con sé stessi.
Le relazioni non sono tutte rose e fiori, che siano d’amore, d’amicizia o casuali, ma a noi piace focalizzarci sugli aspetti che consideriamo positivi. Tuttavia, un elemento tanto più è positivo maggiormente sarà negativo.
Anzi questi due aspetti convivono pacificamente e paradossalmente all’interno di ogni dinamica, insieme a molti altri.
La relazione è portatrice di paradossi perché appartiene alla psiche umana, fatta anch’essa di paradossi personali.
Vediamone insieme alcuni.
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PARADOSSO 1: sono i limiti della relazione a definire ciò che sono.
Siamo soliti pensare che la relazione con l’altro definisca la nostra personalità, e siamo generalmente entusiasti del fatto che nell’incontro con l’altro possiamo trovare noi stessi.
Ma cosa significa definire una personalità?
Per definire una soggettività bisogna limitarla. Infatti sono i confini che delineano le forme della natura e dell’esistenza.
Avere una relazione ci pone nei confini, ed è proprio per questo che riusciamo a vedere con chiarezza chi siamo. Attraverso quei limiti riusciamo ad essere consapevoli di un piccolo spazio dentro di noi, che per l’appunto è piccolo.
Le barriere ci interrompono, ed è questa interruzione a farci vedere una possibile combinazione di emozioni, che ci consegnano ad una personalità e ad un’identità propria.
Lo stesso vale quando usciamo da una relazione. Abituati ad avere un’identità all’interno di essa, quando ne usciamo non sappiamo più chi siamo.
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Paradosso 1: siamo felici di essere limitati nella nostra libertà. Aneliamo l’emancipazione, ma non la vogliamo troppo estesa. Ci basta un piccolo pezzo di spazio per essere liberi, perfettamente imprigionati dentro la nostra libertà, come se la relazione fosse la nostra franchigia.
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PARADOSSO 2: la mia relazione è uno scontro tra femminile e maschile.
Femminile e Maschile sono due facce della stessa medaglia, si completano a vicenda, sono complementari, etc…
Ma siamo sicuri che sia così? Non possono essere semplicemente due dimensioni tra le tante esistenti che a volte si incontrano, mentre altre si scontrano?
Uomo e donna si integrano dunque soltanto in parte, affermava Adolf Guggenbühl-Craig. Forse dobbiamo liberarci dal complesso della complementarità tra uomo e donna. Non sono due poli opposti, esistono diverse sfumature, e infine sono solo frammenti della nostra profondità.
Quando un uomo e una donna hanno una relazione, continua Guggenbühl-Craig, questa non è sempre all’insegna dell’amore, ma anche del rifiuto e della distruzione. Spesso l’uomo e la donna sono a tal punto estranei l’uno all’altra, che possono integrarsi o comprendersi soltanto nel rifiuto o nell’aggressività. (Matrimonio. Vivi o morti 👉 Clicca qui per il libro)
Adolf parla in questo caso della relazione matrimoniale, ma questo concetto è estendibile ad ogni tipo di incontro con l’altro. Parafrasando Adolf, e integrandolo nel nostro discorso, potremmo dire che le relazioni non sono tutte armoniose e piacevoli, bensì sono, a volte, luoghi d’individuazione e pertanto terreno di incontro e scontro.
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Paradosso 2: l’armonia tra femminile e maschile (qualora esistesse) è fatta di incontri, ma anche di scontri. La relazione necessaria tra le due dimensioni può essere anche di lotta e rifiuto.
PARADOSSO 3: ho scoperto un me completamente nuovo in te.
… l’anima non può esistere senza la sua altra parte, che si trova sempre in un Tu. (C. G. Jung, Opere XVI, p.250 👉 Clicca qui per il libro)
L’altro è il portatore di una frammento della tua anima.
Questo è molto interessante perché siamo soliti credere che il “noi” sia tutto all’interno della nostra persona, come se fosse una parte inconfessata, profonda e recondita che tenta di uscire.
Ma riflettiamo attentamente su questo punto. La frase di Jung ribalta ciò che pensiamo sulle relazioni.
Rapportarsi con un altro, significa nutrirsi dell’altra persona, ovvero introiettare ciò che ha da offrirci.
Siamo ciò che mangiamo diceva Ludwig Feuerbach, per questo motivo quando incontriamo un’altra persona, essa ci dona un pezzo di sé, così come noi le doniamo un pezzo di noi.
Trasponendo questo concetto alla nostra situazione: Siamo ciò con cui ci relazioniamo.
James Hillman si domandava Come possiamo conoscere noi stessi per mezzo di noi stessi? Possiamo rivelarci a noi stessi attraverso un altro, ma non possiamo riuscirci da soli. Quest’ultimo è il modo dell’eroe, adatto forse ad una fase eroica. Ma se qualcosa abbiamo imparato dai rituali della nuova forma di vita di questi ultimi settant’anni, è proprio e soltanto questo: non possiamo riuscirci da soli. L’opus dell’anima ha bisogno di intimo rapporto, non soltanto per individuarsi ma anche solo per vivere. Per questo abbiamo bisogno di rapporti del tipo più profondo attraverso cui realizzare noi stessi, rapporti dove è possibile l’autorivelazione, dove l’interesse e l’amore per l’anima sono capitali e dove l’eros può muoversi liberamente – nell’analisi, nel matrimonio e nella famiglia, o tra amanti e amici. (Il mito dell’analisi, p.103 👉 Clicca qui per il libro).
Abbiamo bisogno dei rapporti più profondi per scoprici, dice Hillman, e nelle profondità dell’Anima troviamo l’amore, ma con altrettanta intensità troviamo l’odio, la guerra, la distruzione e lo scontro.
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Paradosso 3: la relazione con l’altro non fa emergere una parte di me nascosta, piuttosto ci dona qualcosa di nuovo. Pensiamo di scoprirci nell’altro, che funge da specchio per le nostre riflessioni. In realtà ci nutriamo letteralmente dell’altro, acquisendo e introiettando nuove parti della personalità.
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Quando si parla di relazione immaginiamo almeno due tipi di incontro: l’incontro con sé stessi e l’incontro con l’altro.
Posso affermare tranquillamente che non esiste una netta differenza. Potremmo incorrere nell’epocale errore di Cartesio: la differenziazione tra psiche e corpo, tra res cogitans e res extensa. Errore che trasposto in questo contesto sarebbe: esiste una differenza netta tra me e te.
Ovviamente ci deve essere una differenziazione, ma non sono due dinamiche opposte, bensì sovrapponibili.
Io incontro me stesso nell’altro, e incontro l’altro dentro me: mi perdo
. Mi perdo se mi incontro. (Fernando Pessoa)
L’incontro con sé stessi provoca disorientamento e vertigini. Più se ne parla e più non si capisce la differenza tra me e l’altro. Spesso i lati del carattere che non sopportiamo dell’altro, sono parti di noi.
Quando incontriamo l’altro ci perdiamo: mi perdo nei tuoi occhi, mi perdo dentro di te, mi fai perdere la testa.
Ci perdiamo dentro l’abisso dell’Anima, il Mondo Infero che è comune a tutti e non appartiene solo al singolo. Scendere nell’inconscio significa perdere la propria individualità ed entrare in quello che Jung definiva l’Inconscio collettivo.
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Cosa significa perdersi?
L’etimologia della parola perdere viene da per/dare. Il per ha significato di deviazione. Una deviazione del dare. Dare altro, dare qualcosa di diverso.
In un’altra etimologia accreditata. perdere significa tradire, ovvero consegnare.
Ogni relazione è tradimento. Ci consegna a noi stessi e ci consegna all’altro. Ci dona qualcosa di diverso rispetto a ciò che siamo.
L’incontro con sé stessi è un incontro difficile, che può far paura e terrore. Incontrandoci, incontriamo parti di noi belle, ma anche odiate, vituperate, obsolete e terrificanti. Parti che avevamo sempre rifiutato, ritornano prepotentemente a farsi vedere.
[CLICCA QUI per leggere “Quando la fedeltà è un obbligo, è infedeltà verso sé stessi”]
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Paradosso 4: la relazione ci fa perdere, ci consegna qualcosa di nuovo e ci tradisce. È il senso di smarrimento che ci permette di trovare frammenti della nostra persona e del nostro carattere. Questo accade perché quando ci perdiamo e non troviamo più la strada, dobbiamo attivare le nostre risorse cognitive legate all’orientamento.
Il paradosso delle conclusioni
Fino ad ora abbiamo visto almeno 4 paradossi presenti nella relazione e nel nostro modo di vedere l’incontro con l’altro. Per concludere il discorso, come sovente accade, mi faccio aiutare da Fernando Pessoa.
Collaborare, legarsi, agire con gli altri è un impulso metafisicamente debole. L’anima che viene data all’individuo, non deve essere imprestata per le sue relazioni con gli altri. Il fatto divino di esistere non deve essere consegnato al fatto satanico di coesistere.
Agendo con gli altri, perdo perlomeno una cosa: l’agire da solo.
Quando mi offro, anche se sembra che mi espanda, limito me stesso. Convivere è morire. Per me soltanto la mia autocoscienza è reale; gli altri sono fenomeni incerti in questa coscienza, e imprestarle una realtà davvero autentica sarebbe un atto di debolezza.
Il bambino che vuole per forza comportarsi come gli pare, inizia da più vicino Dio, perché vuole esistere.
La vita di adulti si riduce a fare l’elemosina agli altri. Viviamo tutti dell’elemosina altrui. Disperdiamo la nostra personalità in orge di coesistenza. (Fernando Pessoa, Il libro dell’inquietudine 👉 Clicca qui per il libro)
La relazione è anche negazione di sé, oltre che affermazione di sé. I confini soffocano e le identità ci fanno smarrire il senso di libertà.
Stando a quanto detto dal poeta portoghese potremmo porci una domanda: cosa neghiamo di noi attraverso la relazione?
Bisogna rispondere onestamente a questa domanda per esserne consapevoli. La vita, così come l’individuazione, è scoperta, ma anche rinuncia.
Pare che Jung abbia detto: Un’affermazione è vera quando è vero anche il suo contrario. L’uomo è un essere paradossale, di conseguenza è paradossale anche la psicologia. (Adolf Guggenbühl-Craig, Il bene del male 👉 Clicca qui per il libro).
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Bello questo articolo completo di tutte le contraddizioni di tutte le sfumature che caratterizzano qualsiasi tipo di relazione e soprattutto fa capire bene come qualsiasi tipo di rapporto sia in buona parte irrazionale e non sotto il nostro controllo
Grazie Marco
Dopo aver letto questo articolo, per altro molto vero, cosa dovremmo fare ( soprattutto se già in crisi)? Lasciarci tutti? Vivere altri 20 o 30 anni da soli e morire da soli? Mi piacerebbe anche capire come non sentirsi soffocati e persi nel rapporto… mi piacerebbe saperlo ma forse nessuno me lo potrà spiegare.
Cara Astrid. Grazie per la domanda e per lo spunto. Scriveremo anche di questo.
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Davvero molto interessanti le dinamiche di cui si parla quando incontriamo l’altro. Mi piacerebbe davvero avere la possiilità di approfondire ancora.
Grazie!