Il mercato del dolore
Quando la civiltà medica cosmopolita colonizza una cultura tradizionale, trasforma l’esperienza del dolore. Il medesimo stimolo nervoso, che chiamerò ‘sensazione di dolore’, si traduce in una esperienza diversa a seconda non soltanto della personalità ma anche della cultura (I. Illich, “Nemesi medica”)
Quanto è difficile stare nel dolore? E quanto è difficile accettarlo? Ma non mi sembra sia la prima volta che giriamo le spalle a funzioni psicologiche e fisiche fondamentali e tutte le volte che lo facciamo ci mettiamo in pericolo. Ma la mitologia eroica, ossia la connaturata tendenza a ritenere che siamo chiamati a vivere la felicità e l’assenza di dolori e sofferenze, si è ormai impadronita di tutti. Individualmente e collettivamente rifuggiamo il dolore e cerchiamo di sanare, o meglio sanificare, l’anima convinti che questo sia un nostro diritto.
Cosa è il dolore
Il dolore fisico o psichico ha una funzione fondamentale, ci informa che qualcosa non va. Allora quel muscolo contratto duole a dirci di rallentare, il crampo esofageo ci chiede di cambiare dieta, il rossore della pelle ci suggerisce di cambiare vestiti o di idratare la pelle. Allora proviamo a immaginare per un attimo se avessimo la possibilità di non sentire dolore. Se i nostri propriocettori potessero dormire e, che so io, magari non lanciare impulsi elettrici nel momento in cui mi fratturo la clavicola. Ah! Che bello sarebbe. Onnipotentemente in grado di fronteggiare qualsiasi evento, ci esporremmo al cospetto di situazione che avremmo altrimenti fuggito. Eppure, eppure… quella anestesia non mi permetterebbe di sentire di cosa ha bisogno la clavicola, quel povero osso che col suo dolere mi suggerisce come muovermi. E in assenza di dolore non potrei contribuire a farla tornare efficiente.
Dolore della psiche
E se invece del corpo, se invece del soma è la psiche che soffre, allora il dolore ci indica una via. Ci indica il percorso attraverso il quale ci individueremo. Ossia ci indica in quale modo la coerenza tra il nostro corpo e la nostra anima ci condurrà a chi siamo, secondo necessità. Dunque senza dolore non c’è individuazione. Ma noi siamo nell’era che ha esiliato la sofferenza, siamo nell’era in cui il dolore è bandito. Sia che sia un braccio rotto, sia che si tratti di un padre deceduto c’è un solo imperativo. Tu uomo non devi provare dolore e non devi soffrire. È un tuo diritto!
Non devi soffrire!
Ma soffrire significa, banalmente portare sulle spalle. E noi, finalmente divenuti professione sanitaria, continuiamo a credere nella promessa della psicologia di sollevarci dal dolore, di supportarci nella sofferenza, ossia di soffrire per nostro conto. Praticamente vendiamo anestesie per l’anima… Si lo so… sia io che molti altri lavoriamo in modo assolutamente utile ai pazienti, ma il silenzio che pratichiamo di fronte alla caleidoscopica diffusione di messaggi che puntano a risanare dai traumi, rischia di partecipare a questo processo di tossicizzazione sociale.
La Tossicomania della società del III millennio
La tossicodipendenza è l’inflazione eroica per eccellenza. Un tossicodipendente non vuole soffrire e non vuole sentire dolore. E la droga è la cura migliore. Un tossicodipendente non ha neanche più mal di denti. Un tossicodipendente si autocura ma in questa autocura diventa intollerante al dolore fino al punto di divenire intollerante al semplice sentire. Anestetizzando tutto, anche un formicolio rischia di essere lancinante. Similmente la medicina ha generato una società tossicomanica che non tollera più dolori e nel fare questo ha abbassato sensibilmente la soglia del dolore. Eccoci oggi col parto indolore, con antidepressivi a fiumi di fronte al lutto, antidolorifici per un dito rotto, protettori per lo stomaco, antistaminici per ogni prurito. Ipnoinducenti per l’insonnia. Ma se non riuscissi a dormire non potrebbe essere che non sia il tempo di dormire? Insomma col dolore ci stiamo perdendo anche il messaggio.
Ma se l’anestesia funziona
Eggià… e se funziona? Allora come che possono fare coloro che anestetizzano? Gli Psicologi rischiano di perdere il lavoro. Per questo la psicologia ha contribuito, inconsapevolmente alla diffusione dell’idea che il non soffrire sia un diritto e dopo aver partecipato al bandimento del dolore, cosi come ha fatto la medicina sul soma, non si è accorta che era riuscita a mantenere il suo lavoro ma aveva perso irrimediabilmente il suo scopo. Si perché più che bandire il dolore la psicologia lo dovrebbe imbandire. Dal bandimento alla banditura direi. La psicoterapia ha proprio questo scopo, ossia dare cittadinanza al dolore, promuovere la convivenza con esso al fine di intraleggerne i messaggi utili all’anima.
Inventori di dolore
Ma dirò di più… se non si prova più dolore, se il sistema sanitario è così bravo nel metterlo al bando e noi ci disabituiamo alla convivenza col dolore, sia del soma che dello spirito, allora, a quel punto, quello stesso sistema sanitario si ritroverà privo di scopo. E se non ci sono più dolori da bandire, se i nemici sono finiti allora ne dobbiamo inventare di nuovi. Si perché Hillman ce lo suggerisce quando scrive “Un terribile amore per la guerra”, ci suggerisce che un nemico è lo strumento migliore per ritrovare un senso quando un senso non c’è o lo abbiamo perso. Insomma, in assenza di scopo e di introiti, il sistema sanitario ha iniziato a produrre nuovi nemici che ci dessero senso procurandoci dolore.
Diagnosi come atto creativo
E la medicina, amoreggiando con la psicologia, specie quella del senso comune, ha partecipato battezzando ogni sensazione non rinvenuta formalmente nelle tassonomie dei manuali diagnostici, come una sindrome nuova e bisognosa di anestesia. Sindrome delle gambe senza riposo? Sindrome da delusione delle aspettative nel visitare, che so io, Parigi? E per ogni nuova parola, per ogni nuovo dio, per ogni nuova sensazione eletta a malattia, è nata una cura. La psicologia è così brava in questo che ogni parola del vocabolario con l’aggiunta della parola “terapia”, può essere venduta come anestetico. Teatroterapia, montagnaterapia, soleterapia, coloreterapia, musicoterapia, arteterapia. Insomma tutto ciò che è gratuito per l’anima viene venduto grazie a un buon packaging. E noi abbiamo iniziato a confondere la confezione col contenuto. E il prezzo più alto lo pagano i bambini la cui vivacità è il biglietto da visita sufficiente per farli entrare in qualche acronimo che gli garantirà il ruolo di pazienti a vita.
Dolore e relazione
Eggià oltre al dolore, stiamo perdendo sensibilità alla relazione. Si perché ogni volta che qualcuno soffre, ogni volta che un bambino si conquista la diagnosi di ADHD, ogni volta che il sistema sanitario ci attribuisce una diagnosi, allora tutti noi altri, noi sani, noi senza dolori, deleghiamo la medicina a gestire la relazione con quel “malato” o quel “bambino”. Ecco che l’anestesia produce un terzo effetto devastante, promuove un analfabetismo funzionale alla relazione. Se provi dolore non mi chiedo più come stare in relazione con te per esserci, e sopportare con te, piuttosto chiamo il medico e via. E se il tuo dolore ha a che fare col fuoco di Marte, col piombo di Saturno, con la disperazione di Demetra, con la determinazione eccessiva di Atena o con la furfanteria di Mercurio, io chiederò allo psicoterapeuta di occuparsene.
Tutto ciò che è terribile o riguarda cose terribili…è fonte del sublime, vale a dire che suscita le emozioni più intense che l’animo umano sia capace di provare (Nicolson in J. Hillman “Un terribile amore per la guerra”) pag. 147)
La verità dello Psicoterapeuta
Ma la Psicoterapia dovrebbe gridarlo. Dovrebbe gridare che la stanza d’analisi è un luogo sacro in cui si celebra il dolore. Un tempio in cui il dolore celebrato metterà in comunicazione, come in un banchetto imbandito, tutti gli déi. Si La psicoterapia è il luogo in cui Marte, Saturno, Atena ecc. banchetteranno insieme perché la cura è sempre nel politeismo, la cura è sempre sostenere immagini silenti e non silenziare quelle prepotenti. Il dolore dunque non va eliminato. Piuttosto vanno sostenuti gli dèi che lo leniscono e, in quel dolore, possiamo riconoscere una via. Il dolore dunque è utile a salvarci da morte certa, è utile a farci evocare risorse altrimenti silenti, ma, soprattutto, è il miglior incentivo allo stare in relazione. Il dolore è l’eterna spinta a restare connessi col mondo intorno a noi ricordandoci che non siamo eroi ma tutti, nessuno escluso, figli di Paride devoti al sublime.
P.S. CLICCA QUI per leggere La salute psicologica come tiranno del terzo millennio
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