Il gioco simbolico
L’uomo è veramente uomo soltanto quando gioca. [Friedrich Schiller]
Chi non vorrebbe tornare per qualche ora a vivere un po’ della spensieratezza dei bambini che giocano?
Il gioco è una costante che occupa la vita di ognuno di noi, dai primi anni di vita in poi. Il gioco è simbolico: assume, di volta in volta, diverse forme, diversi schemi, diversi significati. Eppure, ha un posto unico, in prima fila nella nostra storia.
Cosa si nasconde dietro la voglia di giocare che hanno i bambini? Perché giocare è così importante nello sviluppo della persona?
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Disegnare sé stessi
Ognuno di noi ha trascorso centinaia di ore della propria infanzia (e non solo…) alle prese con il fantastico mondo dei giochi. Ognuno di noi ha trascorso lunghissimi periodi nel proprio Paese dei Balocchi, mondo incantato in cui la fantasia del Puer galoppava libera e priva di regole imposte.
Il bambino gioca per disegnare la mappa del proprio Io in potenza.
Il gioco, per ciascuno di noi, ha rappresentato la via maestra per crescere. Attraverso il gioco la mente sviluppa una serie pressoché infinita di schemi, immagini, specchi ed esperienze.
Perfino nell’Articolo 31 della Convenzione ONU sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza si sancisce il diritto al gioco di ogni bambino come un principio di salute psichica dell’individuo futuro.
Giocare può essere il primo vocabolo del racconto di un’anima sul trampolino di lancio; il bambino legge una realtà fatta di simboli e parole che non ancora può apprendere e comprendere senza la mediazione di una lente del tutto speciale: il gioco. Giocare permette al bambino di comprendere la realtà in cui vive. Traduce, in questo modo, l’incomprensibile in un linguaggio fatto di simulazione e rappresentazione. Comprende che il male esiste e che può essere sconfitto. Attraverso costruzioni, trenini, bambole e soldatini, il bambino getta le fondamenta della sua identità da adulto. Scrive un copione fatto di simboli e di improvvisazione. Il bambino crea e vive una sua psicologia del gioco che può essere compresa attraverso la psicologia archetipica.
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Voglio tornare bambino!
L’uomo è più vicino a se stesso quando raggiunge la serietà di un bambino intento nel gioco. [Eraclito]
Sin dalle prime ore di vita il filo rosso che guida lo sviluppo è creato dall’intreccio dei vissuti emotivi che caratterizzano l’esperienza consapevole e inconsapevole di ciascuno di noi. Onestamente anche per un adulto è un’impresa ardua vivere consapevolmente le esperienze emotive che segnano indelebilmente il nostro quotidiano.
Quante volte abbiamo ripetuto la frase: “voglio tornare bambino”?! Questo concetto è tanto mai vero se consideriamo i vissuti emotivi. Una lite tra amici, difficoltà economiche, ansie e delusioni sarebbero, probabilmente, più comprensibili e quindi più facili da affrontare se guardate con l’occhio del gioco. Il bambino mette in atto dei comportamenti senza programmarli, permettendo al proprio inconscio di trovare da sé e per sé il modo migliore per esprimere le proprie funzioni.
Viceversa, l’adulto deve considerare i se e i ma per quasi ogni singola azione; ciò comporta un dispendio di energie, mentali e non, che raramente portano a risultati.
Il rapporto tra bambino, realtà e gioco è di natura talmente reciproca da creare una struttura a labirinto.
Il gioco aiuta il bambino a comprendere la propria realtà interiore. La realtà esteriore, litografia per la realtà interiore, influenza e determina contenuti e forme del gioco. Il bambino controlla e vive i tempi del gioco ritenendoli prioritari al pari di bisogni fondamentali come il mangiare e il dormire. Quando avviene un evento che cambia radicalmente la storia di una famiglia, il bambino si mette alla ricerca di una spiegazione comprensibile ai suoi occhi. Come Peter Pan ha disegnato la mappa che conduce all’isola che non c’è, così il bambino traccia le coordinate per il suo viaggio. Dà forma e vita a rappresentazioni simboliche della realtà che non riesce a capire. Trova così modi e mondi con cui prendere il controllo di eventi che “subisce”. La nascita di un fratellino o di una sorellina, il trasferimento in una nuova città, l’allontanamento per un breve periodo dai genitori sono alcuni dei momenti apparentemente indecifrabili per la psiche di un bambino. Il gioco trasforma l’inconoscibile in un vissuto emotivo di cui il bambino diventa non solo protagonista ma demiurgo; assume cioè il potere di modificare inizio, svolgimento e fine di una storia di cui in realtà conosce inconsciamente solo la morale.
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Le fiabe: aforismi del gioco
Credo che le fiabe, quelle vecchie e quelle nuove, possano contribuire a educare la mente. La fiaba è il luogo di tutte le ipotesi: essa ci può dare delle chiavi per entrare nella realtà per strade nuove, può aiutare il bambino a conoscere il mondo. [Gianni Rodari]
Gilbert K. Chesterton affermava: “Le fiabe non dicono ai bambini che i draghi esistono. I bambini lo sanno già. Le fiabe raccontano ai bambini che i draghi possono essere sconfitti”.
Anche Roberto Benigni nei suoi spettacoli ripete spesso questa citazione, valida sia per i racconti che per i giochi. Seppure il drago non sia un simbolo negativo in assoluto rappresenta in questo caso il mostro, il nemico per antonomasia. È fondamentale nello sviluppo del bambino la comprensione che gli ostacoli, le barriere, i nemici, le paure ed i terrori sono tutte entità vincibili.
Peter Pan rappresenta l’adulto mai cresciuto, il puer aeternus che magicamente vive l’intera vita nel mondo immaginario dell’infanzia. Vive e vola in un universo immaginario per sua stessa definizione, popolato da pirati, pellerossa, fate, sirene e bimbi sperduti. È un bambino che riesce addirittura a volare grazie a pensieri felici e polvere di stelle. La mente che ha concepito questa storia è riuscita a raccontare una parte dell’infanzia di quasi tutti i bambini nati in Occidente. Il racconto tratteggia i confini dell’essenza stessa del gioco. Perfino il mangiare assume nel libro le caratteristiche più pure della fantasia. È ovvio che un bambino di pochi anni non sappia cucinare, ma avverte che non può farne altrimenti. La fantasia diventa la soluzione: se puoi immaginarlo, puoi farlo. Attraverso la fantasia, nel gioco, ogni attività piccola o grande diventa semplice, realizzabile e perfetta. Nelle favole, come nei giochi, la fantasia conduce, quasi sempre, a un lieto fine. La fantasia è essenziale per lo sviluppo: contribuisce al benessere cognitivo, fisico, sociale ed emotivo dei bambini. Essa rende possibile l’amicizia del bambino con i propri stati emotivi, permettendo di esprimere il proprio mondo interno, la propria psiche e di elaborare le esperienze vissute nella quotidianità.
D’altronde gli adulti usano le favole per insegnare a vivere. Il gioco e le favole possiedono una psicologia del tutto propria. Il gioco, soprattutto, assume il ruolo di psicologo del bambino ovvero di un’entità coadiuvante e semplificante.
Pinocchio, emblema di generazioni intere di bambini, prima di trasformarsi da burattino in adulto si trova ad affrontare una serie di ostacoli e di vicissitudini assimilabili al processo di individuazione di ognuno di noi. Percorso in cui, l’aiuto di uno psicoterapeuta diventa, a volte, indispensabile. Ad esempio, nell’inganno del Paese dei balocchi Pinocchio si accorge che la vita non può essere un eterno gioco privo di una morale e di una fine. Il bambino, infatti, non mette in atto giochi infiniti ma vive una storia compiuta nell’hic et nunc del momento ludico. È in quel c’era una volta che inizia la sua storia.
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Adulti che giocano con i bambini
Il bambino che non gioca non è un bambino, ma l’adulto che non gioca ha perso per sempre il bambino che ha dentro di sé. [Pablo Neruda]
È indispensabile che genitori e figli interagiscano il più possibile su diversi livelli.
Quando si spiega al figlio che per attraversare la strada deve guardare a sinistra e a destra, l’interazione avviene su un livello didascalico consapevole. Un rimprovero porta il bambino a mettersi a livello dell’adulto nel gioco, invece, è l’adulto che si immerge nel livello comunicativo del bambino.
Ci possono essere giochi da tavola, giochi “guidati”, giochi di fantasia e giochi di improvvisazione. In ognuno di questi immagino l’adulto seduto sul pavimento lontano da tavoli, pareti, problemi, impegni. Immagino un genitore immerso nel mondo dei piccoli. C’è chi sostiene che per contenere l’iperattività, tipica dei bambini, sia necessario strutturare anche le attività ludiche. Questo, però, è solo parzialmente vero. Si può solo provare a contenere il tema di un gioco; in realtà l’esperienza fantastica dell’interazione ludica con il bambino ha una sua psicologia, ha dei suoi mutamenti imprevedibili. È un’interazione basata sull’imprevedibile, priva di copioni. È un’esperienza che, guidata dalla psicologia del gioco, apre le porte al mondo interiore del bambino ed all’universo pressoché infinito della interazione genitore-figlio. Né l’adulto, né il bambino possono prevedere il cosa, il come e il quando di quello che stanno mettendo in scena. Ciò che possono sapere è che il gioco e la fantasia permettono al bambino di portare se stesso sul palcoscenico e che l’adulto, soprattutto se genitore, deve essere spettatore attento e attore consapevole.
D’altronde Nietzsche sosteneva che La maturità di una persona consiste nell’aver trovato di nuovo la serietà che aveva da bambino, quando giocava.
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A cosa serve giocare con i bambini?
È nel giocare e soltanto mentre gioca che l’individuo, bambino adulto, è in grado di essere creativo e di fare uso dell’intera personalità, ed è solo nell’essere creativo che l’individuo scopre il sé. [Donald W. Winnicott]
Abbiamo più volte detto che il gioco è un’esperienza di fantasia. Come ogni esperienza di vita concreta, anche il gioco ha bisogno di oggetti-simbolo che mettano in comune le esperienze di più persone. Ci sono giochi che hanno accompagnato l’infanzia se non l’adolescenza o addirittura l’età adulta di tutti noi. Giochi per bambini e bambine, giochi intramontabili, giochi sempreverdi, giochi in grado di raccontare storie e con queste di parlare all’anima del bambino presente e dell’adulto futuro.
Vediamoli insieme.
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Costruzioni e Puzzle
Cubi di plastica, pezzetti di legno, frammenti di carta, tappi di sughero, spaghi; oggetti che all’apparenza hanno funzioni diametralmente opposte tra loro ma grazie al pizzico di magia, possono trasformarsi in case, magici castelli, barche e torri più alte del mondo.
Tassello dopo tassello il bambino sviluppa schemi e capacità superiori a quelle che un ingegnere o un architetto hanno imparato sudando sui libri. Il bambino intuisce che mettendo insieme piccole parti si può creare il Nuovo. Sintetizzano, esplorano, mescolano fino a che il loro intuito non scopra un’armonia appagante, simile al suono rassicurante di una brezza di mare. È la magia dei pezzi di un’immagine che va a ricomporsi, pixel di un’istantanea che viene rattoppata nelle sue minime parti. Dare forma ad un puzzle è raccontare al bambino come funzionano i ricordi.
Costruendo, esplorano la magia del Fare, di creare con le proprie forze ciò che non c’è ancora, non c’è più o non c’è mai stato. Costruiscono scenari che hanno un senso nel preciso momento della storia inventata. Sono, però, costruzioni destinate non a rimanere, ma a mutare. Edificando le costruzioni, edificano principalmente le abilità. Ciò che rimane sono le parti più piccole: il muro costruito nel gioco verrà presto abbattuto, il castello verrà scomposto per fare spazio ad un’automobile, la staccionata si trasformerà in astronave. Le costruzioni, di qualsiasi materiale o colore siano fatte, spingono il Puer a diventare Saggio spostando l’attenzione dall’improvvisazione alla concretezza, per poi annullarsi e tornare all’origine. Raccontano quello che da adulti si vive quotidianamente: qualsiasi azione compiamo ci fa comunque ritornare alla natura psichica del nostro Io.
Mezzi di trasporto
Nelle Città Invisibili, famoso libro di Calvino, Marco Polo racconta viaggi nei luoghi dell’immaginario, in città che assumono caratteristiche uniche, fiabesche, irripetibili. Ogni città ha una sua storia, un suo profumo, i suoi colori. Calvino, autore anche di Splendidi Racconti per l’Infanzia, coglie quello che è il senso del viaggiare dei bambini.
Un treno che cammina su una pista racconta la curiosità, la speranza ed il desiderio di crescere e di scoprire realtà degne dei sogni più belli. Le automobili dai mille colori raccontano di viaggi e percorsi, di ricordi passati e di cammini verso mete future. Aerei ed astronavi simboleggiano la spinta a scoprire ciò che è sconosciuto. Facendo muovere i giocattoli-mezzi di trasporto, il bambino si mette alla guida, prende il controllo dei propri desideri, delle speranze, delle paure. Si immagina, pur non sapendolo a pieno come l’adulto che sarà, in giro verso luoghi che non ancora ha visto o che ha immaginato con il binocolo della fantasia. Anche gli adulti trasformano la passione per questo tipo di giochi; gli cambiano nome in “modellismo”, “collezionismo” e passione. Gli adulti scelgono di comprare macchine di lusso o macchine d’epoca. Esistono collezionisti e appassionati che nascondono la loro voglia di gioco nell’assemblaggio di minuscoli particelle di modelli reali. Ci sono adulti che guardano passare piccoli treni su binari inventati per inseguire speranze o superare stazioni passate. Mai come in questo caso, è evidente che nel gioco bambino ed adulto si guardano negli occhi scorgendo l’un l’altro passato, presente e futuro.
Bambole e soldatini
Per anni si riteneva che attraverso il gioco si dovesse aiutare l’adulto in potenza a raggiungere modelli simbolici e stereotipati. Il “maschietto” avrebbe dovuto far sue le caratteristiche di un soldato coraggioso, di un eroe valoroso, di un principe talmente perfetto da poter conquistare non solo una bella principessa ma anche il mondo intero. Per anni le “femminucce” si sono confrontate con ruoli e figure dominate da bellezza, purezza, dedizione, premure.
Erano messe allo specchio con immagini di donne, la cui unica se non principale aspirazione era quella di diventare un’ottima moglie e madre. Per fortuna, però, la fantasia del bambino, se lasciata, almeno in parte, libera di galoppare, riesce ad abbattere stereotipi e costruzioni immaginarie, riempiendo il gioco di energie creative. La fantasia diviene energia trasformatrice, con la potenza di un tremendo uragano, per permettere al bambino di vivere e di dare forma alla psicologia del gioco, ai vissuti personificati. Attraverso bambole, soldatini, pupazzi dalle sembianze umane, la storia del gioco assume caratteristiche umanizzate, mutando da immagine a reale.
L’intuizione della trilogia di Toy Story sta proprio nel raccontare come i giocattoli possano prendere vita assumendo tratti mutabili ed immutabili proprio come gli individui reali. Con questo tipo di giochi il bambino colloca sulla sua scacchiera le pedine funzionali al suo racconto. Il Puer aeternus si confonde con il demiurgo.
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Lasciati guidare dal bambino che sei stato. [Josè Saramago]
Etimologicamente la parola gioco ha molto in comune con scherzo, simulazione.
Nel film “Il piccolo Lord”, il conte spiega al nipote che i giochi sono un laboratorio per il grande spettacolo della vita.
Giocando, immaginando, facendo esercizi di fantasia il bambino che è stato, e che è in ognuno di noi, ha costruito le fondamenta per l’adulto che è o che sarebbe dovuto essere. In questi momenti, durante il gioco, tutti noi abbiamo creato luoghi, storie e personaggi che avrebbero riempito migliaia di pagine di racconti e di storie che riletti a distanza di anni o di età della vita, avrebbero rappresentato profezie di caratteristiche, relazioni, lavori. Sarebbe bello attraversare porte o passaggi del tempo per tornare dal bambino che siamo stati per dirgli di giocare di più. “Immagina di fare questo…” “Prova a fare quest’altro…” “e se nel nostro gioco succedesse…”.
Ognuno può immaginare di dire al nostro Puer di giocare ancora perché ha bisogno del suo gioco. Tutti abbiamo bisogno della fantasia del gioco dei bambini per guardare il mondo con altri occhi e per ricordarci che i mostri scompaiono solo accendendo la luce.
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P.S. CLICCA QUI per leggere i 3 errori più comuni nell’educazione dei bambini