‘Allucinazioni’ di Oliver Sacks

Nel suo affascinante libro del 2012 Oliver Sacks ci dona una descrizione dei fenomeni allucinatori che esce dalle maglie dell’interpretazione riportando questo argomento al suo candore originale. Pur dandoci tutto il rigore del neurologo, a partire dalla scelta di scrivere solo di allucinazioni organiche, Sacks è capace di sospendere ogni forma di giudizio o tentativo di spiegarci cosa siano restando sul piano della pura descrizione.

Eppure, questo strato che costituisce la superficie del discorso è completo in se stesso e ci dona alla fine la soddisfazione di aver in qualche modo colto qualcosa di uno dei fenomeni psicologici più strani e complicati.

Cosa sono veramente le allucinazioni? Da dove hanno origine e perché avvengono?

Non è certo mia intenzione rispondere a queste domande in così poche righe. Vorrei invece porre l’attenzione sul modo in cui ci rapportiamo ad esse. È all’incirca dalla nascita della psichiatria moderna che l’allucinazione nelle sue diverse forme -acustiche, visive, sensoriali, motorie, etc.- viene inquadrata come disturbo ed in questa accezione inizia a perdere il suo valore positivo.

“Molte culture considerano le allucinazioni, come i sogni, uno stato di coscienza privilegiato, attivamente perseguito attraverso pratiche spirituali, meditazione, droghe, isolamento. Nella moderna cultura occidentale, però, le allucinazioni sono più spesso considerate indice di follia, oppure un segnale che al cervello sta accadendo qualcosa di terribile (O. Sacks, Allucinazioni, Adelphi, Milano, 2013,, p. 15)”.

L’allucinazione, come ci suggerisce Galimberti è “una percezione di qualcosa che non esiste e tuttavia è ritenuto reale (U. Galimberti, Dizionario di Psicologia, Utet, p.31)”. Definizione molto più rispettosa del vocabolario che la presenta come una percezione morbosa, un inganno o un’illusione dove l’immaginazione viene presa per reale. Fermi tutti!

Quello che abbiamo appena detto mette in causa alcune parole di non trascurabile importanza. Abbiamo esistenza, poi reale ed infine immaginazione. Dando rilievo ad ognuna di esse potremmo arrivare a capire meglio perché il valore dell’allucinazione per noi si è perso e cosa invece potrebbe tornarci utile per arricchire il modo psicologico d’intendere le cose.

L’esistenza

Esistere è una termine d’incredibile pesantezza filosofica. Per non lasciarci tirare giù verso abissi heidegherriani o al peggio hegheliani cerchiamo di definirla nel modo più semplice possibile. L’esistenza si potrebbe ricondurre alla dignità che si dà ad una cosa. L’esistenza in questi termini non ha a che fare con l’essere vivi o l’essere morti ma con il riconoscimento di un’oggetto, di una persona, di un’idea a cui si attribuisce una certa importanza.

È una condizione che può essere esclusivamente personale, soggettiva, non necessariamente condivisa o riconosciuta da tutti. Potremmo intenderla anche come il peso affettivo o l’attenzione che si attribuisce ad un fenomeno. Una parola usata in psicologia archetipica per dire questo è ‘ontologia dell’immagine’. Per esempio, un’immagine ha una sua ontologia perché la si può raccontare e descrivere attraverso i significati che le sono stati attribuiti. Generalmente, un’immagine possiede anche un certo grado emotivo da parte di chi la presenta.

La realtà

Un’allucinazione può essere una percezione che esiste ma non è reale. Il campo della realtà in questo caso coincide con l’esperienza sensoriale condivisibile da più persone e misurabile con strumenti quantitativi. Un fenomeno è reale perché produce anche effetti concreti ed oggettivi sul quello che chiamiamo mondo esterno. Ci accorgeremo subito di quanto sia sottile e discutibile questa concezione in psicologia.

L’allucinazione è tale perché non è reale nel senso che non esiste se non nelle rappresentazioni di colui o coloro che la vivono come nel caso di allucinazioni collettive. La realtà è forse l’elemento più forte su cui le teorie moderne sulle allucinazioni hanno fatto sì che le si ritenessero esperienze aberranti ed illusorie. Infatti se un’allucinazione ha un effetto diretto sulla realtà essa non è più tale ma diventa un’esperienza concreta anche se immateriale. Un’allucinazione che non agisce sulla realtà deriverebbe da un qualche errore percettivo.

Immaginazione

L’immaginazione è una facoltà psichica umana. Essa si distingue per la capacità di rappresentare attraverso il linguaggio e le abilità poieutiche contenuti che non hanno a che fare con la realtà empirica ma con un mondo che appare parallelo e sovrapponibile al comune agire reale. Quando l’immaginazione è pura diventa fantasia, quando invece viene inquadrata all’interno di un sistema di regole diventa invenzione. L’immaginazione è capace di produrre opere d’arte od invenzioni e ci mette di fronte alla scoperta. In questo senso la scoperta allarga anche il campo della realtà.

Conclusioni

Scrive Sacks:

“Le allucinazioni hanno sempre avuto un ruolo importante nella nostra vita mentale e nella cultura. In effetti, dovremmo chiederci in quale misura l’arte, il folclore e perfino la religione abbiano avuto origine da esperienze allucinatorie (O. Sacks, Allucinazioni, Adelphi, Milano, 2013, p. 14)”.

Non tutte le allucinazioni sono tentativi di scoperta o rivelazioni divine. Molte sono più simili a binari morti o tentativi falliti di esistenza come diceva Binswanger.

Eppure, quello di cui spesso difetta l’occhio clinico è il modo di rapportarsi all’esperienza allucinatoria, che dimostra la mancanza del giusto valore da attribuire all’immaginazione. Infatti, come avremo notato, l’immaginazione è un campo che contiene in sé il reale ed i suoi contenuti hanno un certo grado di esistenza.

Ciò significa che una buona conoscenza dell’immaginazione, del modo in cui agiscono i suoi contenuti, permetterebbe di avere un rapporto costruttivo anche con le esperienze allucinatorie. Ora sappiamo che l’immaginazione, intesa nei termini proposti dalla psicologia archetipica, è una definizione che amplia e migliora il tradizionale concetto d’inconscio.

L’esperienza allucinatoria potrebbe essere intesa come una condizione di esistenza in preponderanza immaginativa. Ne consegue che più si lavora con la dimensione immaginale più l’esperienza allucinatoria può essere accolta come un’esperienza significativa al punto da poterla trasformare in un’esperienza positiva e costruttiva per la persona. Ne sono un esempio le numerose storie che Oliver Sacks ci ha donato.