🔲 Convivo ergo sum
La psicologia è lo studio di tutte le cose dal punto di vista della psiche [T.Moore, Pianeti interiori, p.60]
Ecco perché il motto de L’Anima Fa Arte è “Guardiamo il mondo con gli occhi di Psiche“.
Il nostro non è solo un modo di dire, ma qualcosa che realizziamo nei fatti.
Vedere le cose dal punto di vista di Psiche, significa ribaltare il proprio modo di vedere le cose, essere rivoluzionari, scoprire, scoperchiare ed essere diabolici.
Vedere le cose dal punto di vista di Psiche significa: 1) ridefinire la psicologia che troppo spesso cade nell’umanismo, 2) suggellare le intuizioni di Freud e Jung, che solo Hillman ha saputo mettere in atto: la narrazione psichica e mitica del mondo.
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La psicologia si affaccia alla finestra
Un punto sostanziale della psicologia contemporanea è il famoso quanto criticato “affacciarsi alla finestra” proposto da James Hillman.
In questa occasione, ho chiesto al più grande esponente italiano nel mondo della psicologia analitica, Luigi Zoja:
“Perché per la psicologia contemporanea è importante “affacciarsi alla finestra” dello studio psicoanalitico?”
L. Zoja ha risposto con queste cristalline parole:
“Perché la nostra epoca è già fin troppo individualista. La psiche degli individui non vive nel vuoto. Lo studioso che non guardi anche al sociale non potrà capirla.”
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La psicologia ha necessità di aprirsi al mondo perché il mondo è la casa di Psiche, anzi potremmo dire che il mondo stesso è Psiche.
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Da questa esigenza è nata l’idea di aprire una nuova sezione del blog: Convivo ergo sum.
Con questo articolo introduciamo la nuova categoria de L’Anima Fa Arte, nella quale proponiamo letture immaginali degli eventi quotidiani.
La psicologia per partecipare in toto alle dinamiche di Psiche deve saper immaginare anche i fatti della vita quotidiana: un crollo di un ponte, un’elezione politica, una partita di calcio, un omicidio, un attacco terroristico…
Deve partecipare non per farne morale, sociologia o politica, ma per farne racconto della Psiche, ovvero per farne psicologia.
Per questo motivo abbiamo contattato Thomas Moore, il quale, insieme ad Hillman, è stato uno dei fondatori della Psicologia Archetipica [J.Hillman, Psicologia Archetipica, Enciclopedia del Novecento].
Riguardo la nostra iniziativa ha risposto con entusiasmo, dicendo:
James Hillman è stato un mio amico stretto per 38 anni. Spesso abbiamo parlato riguardo questo tema del “guardare fuori la finestra”, e James ha scritto molto sull’argomento. Anch’io l’ho incluso in tutti i miei scritti. C’è tanto da fare e da dire sul mondo, però la maggior parte di ciò che si scrive su di esso non è profondo. Non vediamo mai il mito nella narrativa dei fatti. Sono molto contento che stiate scrivendo questa rubrica. [Thomas Moore]
Michele Mezzanotte
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Quando un fatto interiore non viene reso cosciente, si produce fuori, come destino. Ossia, quando il singolo rimane indiviso e non diventa cosciente del suo antagonismo interiore, il mondo deve per forza rappresentare quel conflitto e dividersi in due. [Jung, Aion: ricerche sul simbolismo del Sé, p. 67]
In questo passo Jung ci aiuta a capire come i fatti del concretismo sono lo specchio di fatti animici, di eventi intrapsichici che si stanno compiendo o si stanno per compiere. Quando poi scrisse sulla sincronicità come principio di nessi acausali, ci spiegò come l’incontro con eventi concretistici, seppur sembri non avere principi di causa-effetto, è sempre l’incontro con eventi psichici corrispondenti.
Personalmente ho scritto molto su Mnemosine, sui processi attraverso cui tratteniamo in memoria determinati eventi. Sappiamo, oggi, che la memoria è un processo e non un contenitore. Questo significa che la memoria è un modo di costruire racconti. Il criterio narrativo è semplicemente che vi sia coerenza tra i racconti e gli eventi intrapsichici. Una continua ricerca di corrispondenza tra ciò che è dentro e ciò che è nel mondo. Il mondo ha disponibilità di immagini e quindi è quell’enorme supermercato dove ognuno di noi ritrova le sue immagini interne per specchiarsi. Le stesse immagini ci cercano per specchiarsi a loro volta. Quest’ultima idea è tipicamente Hillmaniana.
Hillman supera poi l’idealismo Kantiano di Jung e afferma che ogni immagine è archetipica, non distingue più un fenomeno da un noumeno. Quindi ogni immagine va ricondotta a se medesima e non a un archetipo.
Con queste premesse possiamo fare quello che neanche lo stesso Hillman faceva esplicitamente. Possiamo prendere ogni evento del concretismo e trattarlo in immagine, in modo immaginale.
Questo significa che ogni evento concretistico, al pari di un sogno, può essere analizzato simbolicamente e indicarci la condizione delle nostre immagini interne e il modo in cui sono in relazione tra loro nell’Hic et nunc.
La morte di un congiunto, il matrimonio di un amico, la caduta di un ponte, un cane che ci abbaia, la cena di lavoro, trovare le more sui rovi in agosto, la nascita di un figlio, il naufragio della Concordia. Tutti questi eventi sono concreti, ma perché sono accaduti proprio a me? Perché un paziente si fissa sulla febbre suina e un altro no? Perché qualcuno ricorda un evento di famiglia ed altri membri non ne hanno traccia? Semplicemente ogni sogno, ricordo, riflessione, evento nel concreto ci parla del nostro spazio psichico interno.
Quell’evento è occorso e si è fissato in memoria, perché era già contenuto in noi, quell’immagine già presente in noi si è riconosciuta incontrandosi nel concretismo e, come un bimbo allo specchio, sorride di sé.
Hillman in Le storie che curano ci ha parlato di Freud e Jung proprio in questi termini, ossia di come le loro teorie siano semplicemente la storia dei loro immaginari. Riteniamo che oltre a questo testo ci siano altri testi per i quali è importante fare un invito alla lettura al fine di poter godere di questa rubrica, si tratta di Revisione della Psicologia, Il suicidio e l’Anima e Il Sogno e il mondo infero.
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A chi serve?
Questa rubrica si occuperà dell’analisi di eventi concreti in modo simbolico. Se ne occuperà per fornire indicazioni a chi si ritrova particolarmente colpito da quell’evento, affinché possa comprenderne gli elementi intrapsichici, poiché, se ne è stato colpito, o per sincronicità vi si è incontrato, questo è accaduto per necessità delle immagini stesse che vanno in cerca di sé medesime. Se l’evento ha risonanza collettiva ci parla dello stato psichico collettivo, e ci da indicazioni per la collettività . Se i nostri governanti usassero questo metodo probabilmente ne gioveremmo tutti.
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A chi non serve, ma servirebbe?
Resta una certa psicologia che si oppone a questo, ma non ci riferiamo tanto a quel cognitivismo che è per noi preziosissimo, ma piuttosto allo junghismo, che non coincide in nessuna maniera con Jung. Quello stesso junghismo che subiva il potere di Freud che, in nome di Scienza, ammoniva le sincronicità , e il paranormale e l’alchemico caro a Jung, oggi ammonisce le amplificazioni Hillmaniane, e magari lo fa satiricamente e in modo derisorio, analizzando pietanze, zucchine, capperi e carote. Lo fa impaurito delle conseguenze di ciò che Jung ha detto, anche se Jung non sarebbe altrettanto impaurito. Lo fa senza accorgersi che in quelle pietanze ci sono di nuovo le immagini interne che si cercano.
Qualcuno mi ha suggerito che la derisione sarcastica è critica di un potere a cui si vorrebbe appartenere; l’ironia è di chi conosce il potere e vorrebbe trasformarlo per un fine più nobile.
Quindi buona lettura e ricordate: più un evento vi colpisce, più voi siete immaginalmente quell’evento. La sua analisi simbolica è di aiuto sia al singolo che al collettivo.
Luca Urbano Blasetti
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Hillman: Il concetto di Sé deve essere ridefinito. La definizione della terapia deriva dalla tradizione protestante e orientale: il Sé è l’interiorizzazione del dio invisibile che sta al di là . Il divino interiore. Anche se questo divino interiore è mascherato da meccanismo di autogoverno, omeostatico, equilibratore, o anche se il divino è mascherato da profonda intenzione integrante dell’intera personalità , è ancora una concezione trascendente, con implicazioni, se non proprio radici, teologiche. Io preferirei definire il Sé come “l’interiorizzazione della comunità ”. E se realizzassimo questo piccolo cambiamento, allora si che sentiremmo le cose in modo diverso. Se il Sé fosse definito come l’interiorizzazione della comunità , allora i confini fra me e l’altro sarebbero molto meno definiti. Sarei con me stesso quando sono con gli altri. Non sarei con me stesso quando sto passeggiando da solo, o quando sto meditando, oppure quando, nella mia stanza, mi dedico all’immaginazione o al lavoro sui miei sogni. In realtà sarei estraniato da me stesso. E “gli altri” non comprende soltanto altra gente, perché la comunità , per come la vedo io, è qualcosa di più ecologico, o perlomeno di più animistico. Un campo psichico. E se io non sono in un campo psichico con gli altri – con la gente, con gli edifici, gli animali e le piante – io non sono. Non dovremmo più dire: “Sono perché penso” (Cogito ergo sum, come sosteneva Cartesio), ma, come mi diceva qualcuno l’altra sera: “Sono perché partecipo”, Convivo ergo sum. [J. Hillman – Cent’anni di psicanalisi e il mondo va sempre peggio. pp. 53, 54]
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