Carlo Rovelli
Psicoanalisi e Fisica quantistica sono nate da una base filosofica, culturale e sociale molto simile, ma si sono sviluppate attraverso linguaggi differenti.
Wolgang Pauli (Premio Nobel alla fisica nel 1945) e Carl Gustav Jung, hanno posto le basi per una collaborazione futura tra fisica quantistica e psicologia, ipotizzando un futuro in cui i due campi scientifici potessero procedere assieme. Nel tempo questa idea non è stata portata avanti da altri studiosi.
In occasione del n.8 della Rivista di Psicologia L’Anima Fa Arte [CLICCA QUI per scaricarla gratuitamente], abbiamo avuto l’onore di intervistare il fisico italiano Carlo Rovelli, con l’intento di osservare a che punto si trova oggi il rapporto istituzionale e culturale tra fisica quantistica e psicologia. Probabilmente dopo una prima comunanza di intenti, si è passati ad un periodo di crescita individuale delle due discipline, che stanno cercando di trovare un’autonomia ed una personalità indipendenti. Oggi, forse, non ancora sono maturi i tempi di unione tra le due discipline, lontane nei metodi, lontane nel linguaggio e lontane nei fini.
Questa intervista sicuramente sottolinea i punti nevralgici dove fisica e psicologia sono lontane e dove invece sono vicine.
Buona lettura!
Biografia di Carlo Rovelli
Carlo Rovelli (Verona, 3 maggio 1956) è un fisico italiano, che ha lavorato in Italia e negli Stati Uniti e ora lavora in Francia. È tra i fondatori della loop quantum gravity (gravità quantistica a loop) e si è occupato anche di storia e filosofia della scienza. Autore di numerosi besteller [L’ordine del tempo, Sette brevi lezioni di fisica, La realtà non è come ci appare]
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Michele Mezzanotte: La scienza è etimologicamente ‘scio’, ovvero un sapere, quindi un andare oltre. Pauli nelle sue ricerche cercò di andare oltre, attraverso un’unione e una complessità tra psiche e materia: “E’ mia opinione personale che per la scienza del futuro la realtà non sarà né psichica né fisica: in qualche modo, essa sarà entrambe le cose e nessuna di esse.” (Lettara a A. Pais 1950).
Cosa pensa di questa unione tra fisica e psiche?
Carlo Rovelli: Penso che la separazione iniziale sia sbagliata. A me sembra non ci sia nulla da riunire. Si tratta solo di risolvere i molti nessi che ancora si capiscono male. Per esempio, un meccanico della Ferrari parla delle sue macchine rosse in termini completamente diversi da un fisico atomico; ma non c’è contraddizione fra i discorsi dei due, solo attenzione su descrizioni diverse della stessa realtà, che permettono di cogliere e di interagire meglio questo o quell’aspetto di essa. Penso che ritenere che nella psiche ci sia qualcosa di extranaturale, intrinsecamente diversa dal resto delle cose del mondo, sia un abbaglio, un peccato di presunzione di noi esseri umani, che siamo solo pezzetti della natura.
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Michele Mezzanotte: Viviamo in un mondo fatto di energie (mi passerà il termine, poco fisico forse) che ovviamente coinvolge, e di cui ne fa parte, anche la psiche (psiche da intendere come il tutto dell’essere umano, senza fossilizzarsi sul solito dualismo mente-corpo superato oramai da secoli e che, come ha detto prima, è una “separazione iniziale sbagliata”).
Jung, a tal proposito, proponeva una teoria dell’inconscio collettivo, riferendosi ad un contenitore psichico comune degli esseri umani che esiste da sempre. James Hillman, successivamente, va oltre questa definizione proponendo un superamento di entrambi i termini, ovvero dicendo che l’inconscio collettivo non è nient’altro che una base comune di “energie” che coinvolge l’uomo e le cose (naturali e non) e che quindi sono indissolubilmente legati l’uno a l’altro, in cui la psiche non è un elemento “extranaturale”.
Cosa ne pensa a livello fisico, è possibile parlare di una comunanza o condivisione energetica?
Carlo Rovelli: Trovo tutto questo modo di parlare troppo vago e poco utile. Può voler dire tutto e niente. Per esempio trovo fuorviante parlare di “energie”, non so cosa siano. Sappiamo bene cos’è l’energia meccanica, cos’è l’energia elettrica, cos’è l’energia chimica. Non si tratta di cose imprecise e misteriose, ma di semplici quantità che si possono associare a dei fenomeni e ci permettono di prevedere cosa succederà e di comprendere cosa stia succedendo. È facile costruire mitologie per spiegare del mondo, usando nozioni vaghe come “energie”, o quant’altro, associando risonanze di senso poco chiare, ma mi sembra che queste non ci facciano avanzare nella comprensione del mondo.
Anche l’idea dell’inconscio collettivo mi sembra molto generica. Da ragazzo ho letto Jung con grande passione, ma poi mi è sembrato sterile. Racconta delle belle storie, ma se ne possono raccontare altre, e non abbiamo modo di scegliere. La forza della ragione è la capacità di vagliare, di scartare. Le storie che non possono essere vagliate sono simpatiche da raccontarci la sera, e forse ci consolano, ma non ci fanno capire per davvero.
Mi sembra piuttosto che riusciamo a capire meglio come funzionino gli esseri umani studiando le reti formate dai neuroni nel cervello, oppure le reti formate dagli umani nella società. Certo, un essere umano non lo si può capire isolato: siamo animali fortemente sociali e i nostri pensieri sono comprensibili solo all’interno della rete di scambi formata da tutti gli esseri umani. La stessa cosa, in fondo, vale anche per i virus e i batteri, e anche per i larici, che vivono di scambi con ciò che li circonda.
Che le cose siano legate l’una all’altra è l’evidenza del mondo: un fiore chiuso sotto una campana di vetro muore subito. Non mi pare che in sé questa sia un’osservazione molto profonda.
Mi chiede se “a livello fisico, è possibile parlare di una comunanza o condivisione energetica”. Certo che sì, per esempio se metto un cucchiaino freddo in una tazza di thè caldo, poi vi è comunanza di luogo fra i due, e ne segue una condivisione energetica: il calore del thè passa al cucchiaino. Queste sono osservazioni semplici. Se intende qualcos’altro che non questo, allora non lo capisco.
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Michele Mezzanotte: Niels Bhor, fisico canadese e nobel per la fisica nel 1922, affermava che la realtà non si può raccontare semplicemente da un punto di vista causalistico. Jung, da parte sua, diceva che raccontare la psiche da un punto di vista meramente causalistico era riduttivo e fuorviante.
Bohr affermava: “Mi sia qui ancora permesso di accennare al rapporto esistente tra le leggi del mondo psichico e il problema della causalità nei fenomeni fisici.”
Secondo Lei che tipo di rapporto ci può essere, e quali sono altri modi di osservare la realtà oltre il causalistico?
Carlo Rovelli: Per “punto di vista causalistico” immagino intenda, come Bohr, l’idea che possiamo trovare la causa di ogni avvenimento. Ci sono due sorgenti possibili di rottura di questa ipotesi, cioè due possibili sorgenti di impossibilità di trovare la causa di un fenomeno. La prima, e di gran lunga la più comune, è il fatto che non disponiamo mai di tutte le informazioni sullo stato di un sistema, e dunque non siamo in grado di prevedere esattamente come si comporterà. Questo è il motivo per il quale non possiamo prevedere se la settimana prossima pioverà, oppure dove andrà a finire un palloncino se lo buchiamo e svolazza via, oppure come si comporterà un essere umano in una data situazione. Esiste anche un’altra possibile sorgente di indeterminismo, che si manifesta nella meccanica quantistica, ma non credo proprio abbia nulla a che vedere con i fenomeni che ho citato; in particolare, non credo che abbia rilevanza per la psiche, perché l’indeterminismo dovuto alla nostra ignoranza dei dettagli è comunque di gran lunga dominante e dunque un’ulteriore sorgente di indeterminismo di fatto non cambia nulla.
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Michele Mezzanotte: A questo punto appare necessario aprire l’argomento sul Tempo e quindi anche sulla Sincronicità. Sappiamo che Lei ha molto lavorato sul concetto di Tempo.
La definizione di Sincronicità elaborata in accordo da Pauli e da Jung è la seguente:
“Due o più eventi apparentemente accidentali, tuttavia non necessariamente simultanei, sono detti sincronici se sono soddisfatte le seguenti condizioni:
1. Qualunque presunzione di un nesso causale tra gli eventi è assurda o inconcepibile;
2. Gli eventi sono in corrispondenza tra di loro attraverso un significato comune, spesso espresso simbolicamente;
3. Ogni coppia di eventi contiene una componente prodotta internamente e percepita esternamente.”
Cosa pensa della Sincronicità? Può essere utile ad una visione del Tempo più ampia? E cosa pensa del Tempo?
Carlo Rovelli: Comprendo i primi due punti di questa definizione, ma non comprendo il terzo. Penso che il nostro cervello sia disegnato per cercare nessi fra cose, perché questo spesso ci aiuta a navigare nel mondo. Ma il nostro cervello costruisce nessi in maniera spesso eccessiva e arbitraria, e quindi fatti scorrelati vengono visti facilmente come legati. Immagino questo ci dica parecchio sul modo in cui il nostro cervello interagisce con il mondo, e anche sulla facilità con cui facciamo errori nell’interpretare il mondo. Imparare a disconnettere cose apparentemente connesse è stata una delle chiavi per comprendere meglio come funziona il mondo.
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Michele Mezzanotte: Wolgang Pauli, nel suo studio “L’influenza degli archetipi sulle teorie scientifiche di Keplero” studia il ruolo dell’inconscio, in particolare degli archetipi stessi, e il modo in cui sono stati presenti all’interno dello sviluppo della teoria di Keplero (in questo caso l’archetipo della Trinità). Questo studio gli servì ad impostare una ricerca per far emergere l’importanza dell’archetipo nella produzione scientifica di una persona o di un tempo storico.
Secondo il Suo punto di vista, c’è correlazione tra ricerche scientifiche ed archetipi? E, se sì, quale tipo di correlazione?
Carlo Rovelli: Io penso di si, anche se ho le idee confuse su cosa siano esattamente gli archetipi. Penso che le nostre teorie scientifiche non emergano solo dai fatti che osserviamo, ma siano un prodotto della complessità della nostra mente, che è piena di strutture ereditate dal passato. Quindi le teorie scientifiche, e tutta la ricerca scientifica in generale, penso si appoggi su grandi idee e immagini che abbiamo già dentro di noi e riceviamo dalla nostra cultura. Penso anche che il sapere scientifico, a sua volta, contribuisca a fare lentamente evolvere le strutture della nostra mente, e suggerisca nuovi grandi miti interni attraverso i quali pensare il mondo.
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Michele Mezzanotte: Per concludere questa intervista vorrei citarLe questa frase di Niels Bohr: “Non vi è un mondo quantistico. Vi è solo una descrizione astratta in termini di fisica quantistica. E’ sbagliato pensare che il compito della fisica sia scoprire come è la natura. La fisica si occupa di ciò che possiamo dire sulla natura… Da cosa dipendiamo noi umani? Dipendiamo dalle nostre parole. Il nostro compito è comunicare esperienze e idee ad altri. Siamo sospesi nel linguaggio.”
Quanto e cosa la fisica può apprendere dalla psicologia e, soprattutto, quanto e cosa la psicologia può apprendere dalla fisica?
Carlo Rovelli: Penso che una delle lezioni più importanti che possiamo ricavare dalla scienza degli ultimi secoli sia la grande unità della natura. Non esistono reami differenti. In particolare, noi umani siamo parte integrante della natura e non qualcosa di separato da essa. Questo fatto ha due conseguenze importanti, che credo siano significative per le due domande che mi pone. La prima conseguenza riguarda la rilevanza della psicologia per la fisica. Non siamo spiriti astratti capaci di una visione diretta e senza filtri della realtà; siamo solo pezzetti del mondo che riflettono il resto del mondo come un lago riflette le montagne. La nostra conoscenza, compresa la fisica, è qualcosa che dipende in maniera essenziale dalla nostra psicologia, dai circuiti del nostro cervello, dalle peculiarità dei nostri organi di senso, dalle strutture della nostra mente che ci troviamo ad ereditare. In questo senso, all’estremo, la nostra fisica è un capitolo della nostra fisiologia e psicologia. Penso che questo sia il punto che Bohr sottolinea. La seconda conseguenza riguarda la rilevanza della fisica per la psicologia. L’intero sapere accumulato negli ultimi secoli converge senza alcuna eccezione nell’indicare che non vi è nulla in noi che trasgredisca o che completi il semplice gioco delle complesse interazioni del sostrato fisico di cui siamo composti. Noi siamo solo atomi, campi elettrici, e cose simili, in interazione. Penso che, se la psicologia resta saldamente ancorata a questo aspetto centrale di quello che sappiamo del mondo, evita di perdersi in chiacchiere. Questo non significa che non possiamo parlare della psiche in termini propri alla psiche, ovviamente. I fenomeni complessi si comprendono in termini che sono loro propri: se devo regolare un motore parlo del carburatore e di usura, non di atomi e forze molecolari. Ma ricordarsi che alla fin fine il carburatore (o la mente) è comunque un oggetto che segue le leggi della fisica, ci aiuta a guarire dagli innumerevoli errori che proprio la nostra mente è sempre portata a fare: usare troppo il pensiero mitico anziché quello razionale, e dimenticare l’insegnamento centrale della scienza moderna: le idee, anche quelle che ci “suonano” più convincenti, vanno passate al vaglio del prova empirica con i metodi della statistica. Altrimenti continuiamo a raccontarci favole.
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