Beirut
O amore di Beirut
O amore dei giorni
Ritorneranno, o Beirut
I giorni ritorneranno.
(Fairouz, Hawa Beirut)
Beirut. Una città distrutta, per l’ennesima volta. Beirut. Una città che era ripartita, dopo una interminabile guerra civile e che ora sembra essere la Hiroshima del nuovo millennio. E i motivi razionali di questa catastrofe sono ancora tutti da scoprire. Beirut forse risorgerà ancora una volta. Come ha fatto l’intero Libano, una delle nazioni più citate nella Bibbia. Beirut, una città che ci fa pensare a guerra e distruzione. Una città che sa essere un’araba fenice, anche se ha i contorni di Guernica, il capolavoro di Picasso. Beirut è una città che può insegnare molto a chi ama la psicologia. Proviamo a capire il perché guardando a Beirut, a Guernica e a tutti i simboli che racchiudono.
BEIRUT E PAPERINO
Ho affrontato vampiri alieni, cyborg, supercriminali. Ho battuto nemici di fronte a quali il babbeo che ho davanti è una nullità. Mi basterebbero un paio di secondi, per metterlo a posto. Ma significherebbe cancellare quel confine che c’è tra Paperino e Pikappa, e questo non posso permettermelo. (PK2)
Ogni città ha la sua storia. Ogni città racconta anni, decenni e perfino secoli di avvenimenti, di passaggi, di popoli. Ci sono città che hanno una simbiosi fra storia e identità. Nonostante il tempo che passa. Roma, ad esempio, rimane nell’immaginario collettivo la “città eterna”. E i suoi monumenti, i reperti romani avranno sempre il primo piano rispetto ai mille problemi che affliggono la città. Ma se pensiamo a Beirut, l’immagine che ci viene in mente è quella della devastazione. Un’immagine che racchiude auto e palazzi dilaniati. Un’immagine che racconta di dolore e sofferenza. Poco importa, nell’immaginario collettivo se questa città rivaleggiava con Atene come capitale della scuola di Diritto, nel III secolo. Poco importa nell’immaginario collettivo se questa città ha avuto distruzioni e rinascite in tutta la sua storia. E poco importa se il Libano era una terra con doni degni del paradiso. L’umanità ha saputo cambiare e far vivere l’antagonismo fra nascita e morte, fra luce e buio, fra i confini del Libano. Beirut diventa la metafora della lotta che ognuno di noi compie ogni giorno. La lotta per sopravvivere. La lotta per rialzarsi da ogni singola caduta. La lotta per ricominciare, costantemente.
Immaginatevi come questa città. Immaginatevi lo sforzo costante di remare contro un gigantesco insieme di eventi e forze che vogliono atterrirvi. E ogni volta che ricostruite i pezzi del vostro puzzle ecco che tutto cade giù, di nuovo in mille pezzi. Sì, Beirut è un puzzle di quelli che possono tenere un appassionato coinvolto per settimane, pur di arrivare all’obiettivo di vedere il risultato finito. Un risultato che saprà raccontarvi profumi e atmosfere. Un risultato che saprà contenere tanti pensieri, innumerevoli riflessioni, sospiri, desideri. Beirut è un puzzle di sospiri in cui ognuno di noi può trovare briciole di sé. Com’è possibile riconoscersi in una città che magari non abbiamo mai visitato, in cui non abbiamo mai vissuto? Come possiamo riconoscerci in una città con storie così diverse dalla città in cui viviamo?
Anche in Italia abbiamo città che hanno visto la loro identità snaturata da eventi imprevisti. L’Aquila, Amatrice, tante città dell’Emilia-Romagna hanno vissuto terremoti che hanno modificato radicalmente il loro presente. Genova ha subito alluvioni ed è stata spaccata in due dal crollo del ponte Morandi. E poi abbiamo Palermo. La città siciliana agli inizi degli anni Novanta su grandi testate giornalistiche veniva paragonata a Beirut, per le auto esplose, per gli attentati mortali mafiosi che hanno fatto deflagrare macchine e palazzi. Queste città hanno vissuto le loro esperienze, ma si trovano in un angolo del mondo dove gli eventi imprevisti hanno un inizio e una fine abbastanza delimitati. Sono città in cui l’imprevisto lascia il posto a una normalità frequente, anche se graduale. Le città occidentali sono come molti di noi: hanno imprevisti, ma continuano a vivere nella normalità. Invece, Beirut non ha questo destino, almeno attualmente. Beirut è il noi “sfortunato”, è il Paperino dei nostri fumetti. Forse in Paperino è più semplice riconoscerci?
ESPLOSIONI
Ciò che diciamo principio
spesso è la fine, e finire
è cominciare. (Thomas Stearns Eliot)
Guernica è un capolavoro di guerra. Sa raccontare il caos e la distruzione. Sa raccontare in immagini i suoni dei bombardamenti e delle scissioni che la guerra impone. Guernica sa descrivere, come un’oscura premonizione, le immagini e i suoni che i media ci hanno mostrato per raccontare l’esplosione di poche ore fa. Un’esplosione che ha distrutto il polmone dell’economia della città. Un’esplosione che ha provocato un’onda d’urto talmente forte da staccare le mascherine delle prese elettriche. Un evento imprevedibile e inspiegabile per molti di noi. Un evento umano, le cui cause e i cui responsabili devono ancora venire alla luce. Un’esplosione che ha scisso passato, presente e futuro di una città e dei suoi abitanti.
Ci sono esplosioni nella vita di ciascuno di noi. Eventi, momenti, incontri che spezzano la nostra vita in una o più parti. Ci sono momenti che ci spezzano, che sembrano frantumare le nostre certezze. Esplosioni che separano la nostra vita fra prima e dopo. Quanti di noi sceglierebbero consapevolmente di vivere e affrontare un’esplosione del genere?
Ci sono persone che danno fuoco ai propri locali per truffare l’assicurazione e avere una ipotetica o illusoria possibilità di ripartire da zero.
Ci sono persone che danno un taglio netto alle proprie relazioni, al proprio lavoro, alle proprie abitudini per poter ripartire da zero.
E ci sono persone che si trovano a dover fare i conti con esplosioni improvvise, impreviste, imprevedibili. Beirut ha già insegnato che da queste esplosioni è possibile rialzarsi, con fatica, difficoltà di diversa natura. Un circolo apparentemente infinito. Perché a volte il destino sembra fare a pugni con i nostri desideri, con i nostri obiettivi. Come ho scritto qualche settimana fa, il destino è una convinzione con cui ci confrontiamo molto spesso. È un costrutto che non possiamo dimostrare, anzi, ma a cui possiamo scegliere di credere o meno. E possiamo guardare al destino tragico di una città come Beirut in negativo, come una città da abbandonare e lasciare alla mercé degli eventi, oppure come il destino di una città con una morale da condividere, nonostante tutto: Beirut rinasce. L’ha sempre fatto e lo farà ancora. Beirut è l’araba fenice fatta di mura, palazzi, strade e porti. Beirut è una città da “libro sacro”. Con i cedri e storie da “Mille e una notte”. Beirut è una città che è stata conquistata, distrutta, martoriata, ma che ha sempre trovato il modo di ricostruirsi e di avere di nuovo vita. Beirut assomiglia a una delle donne cantata da De Andrè, una donna con una vita “sfortunata”, ma talmente bella da poter essere immortale.
CONCLUSIONI
Nascere non basta.
È per rinascere che siamo nati.
Ogni giorno. (Pablo Neruda)
Forse ora può essere più semplice riconoscerci in Beirut e nella paura che può racchiudersi dietro a un’esplosione che distrugge una città. Beirut può dare speranza. Beirut può mostrare la scelta per ciascuno di noi. Beirut può essere l’emblema di chi cade a pezzi, ma ha radici e scelte abbastanza forti da risorgere. Beirut è l’araba fenice del nostro presente.
4.5