Aborto e la Psicoterapia
Aborto è parola semplice. O meglio è semplice comprendere l’etimologia di tutte le parole che presentano la particella “AB” davanti. Si perché in quella particella c’è un “dio” pericoloso e faticoso. È colui che nega il “dio” che lo succede, quello che viene dopo. Allora un “ab-uso” è una modalità che va contro l’usare, oppure “ab-norme” è ciò che è contrario alla norma o, ancora, “ab-rogare” è un annullamento del rogare ossia dell’emissione di una legge. Ma si perde in questa etimologia la temibilità del “dio AB”. Si perché in quel prefisso non c’è in verità negazione per sottrazione, ma per iperbole. E questo lo intuiamo nella parola ab-uso che significa andar oltre l’uso. Insomma “strausare”. Allora quando siamo di fronte all’aborto (“orior” ossia nascere) siamo di fronte a un oltre il nascere, a un’urgenza di nascita, a uno “stranascere”. Ma andiamo per ordine.
“Dunque ascolti: io sono convinto che il bambino venga alla luce in virtù dell’odio. La madre ne ha abbastanza di essere grossa, di portare un fardello di alcuni chili, e quindi lo butta fuori e in modo assai poco gentile. Se non ci fosse in lei quel fastidio, il bambino rimarrebbe nel suo corpo, pietrificandosi” (G. Groddecck, “Il libro dell’ES” pag. 36)
L’aborto, Il Papa, la Chiesa e la Politica
Certamente noi ci troviamo in una nazione che è il crocevia del cristianesimo e qui fatichiamo ad avere uno sguardo lucido su questo evento. Allora assistiamo alla definizione di assassinio o omicidio con l’aborto, alla esaltazione di un diritto, forse a volte un po’ troppo materno dice Galimberti, di una donna di decidere della prosecuzione o meno di una gravidanza. E mentre gli uomini si crogiolano, a tratti felici, per non avere l’onere della decisione e, a tratti, sollecitando le interruzioni per non avere oneri, intanto la politica parla dell’aborto per ottenere da noi una croce sulla prossima scheda elettorale. Allora qualche buonista potrebbe dire che nessuno intanto pensa al o alla nascitura. Ma noi qui non interessa lui o lei se non su un piano immaginale. A noi qui interessa l’evento in se.
Odio e amore spesso si scambiano di posto.
La danza dell’odio. Si così la chiamerei, anche perché se parlassimo di danza dell’amore si attiverebbero tutta una serie di immagini che c’entrano poco con noi qui, adesso. La danza dell’odio è quel particolare momento psicologico in cui ci accorgiamo che una persona o un oggetto sono così vitali per noi da averne un’adorazione e un profondo odio contemporaneamente. Un po’ come quando la madre ci dà il latte. Il potere di nutrirci e la nostra dipendenza ci possono indurre ad avvertirla come un carceriere. Buona parte della psicoterapia consiste nell’accettare proprio la doppiezza e polarizzazione delle emozioni che ci vengono a trovare. La terapia è un tutorial su come danzare con l’odio.
Abortire è un atto d’amore quanto il partorire lo è di odio
Allora seguendo Groddeck capiamo che il parto è un atto di odio e che l’amore potrebbe essere assolutamente mortifero. Similmente l’aborto si pone come un evento che mostra la sua presenza di amore. Quando l’aborto avviene in modo spontaneo c’è una urgenza di nascita, c’è una tale voglia di avere un figlio che lo si fa nascere, anzi lo si fa “stranascere”. Allora dobbiamo anche in questo caso avere la forza di intravedere anche nell’aborto intenzionale una componente di profondo amore. Ah se solo riuscissimo ad accoglierci nella nostra strutturale doppiezza! Allora mi ritroverei disoccupato. L’inflazione amorosa per il nascituro va intesa sia concretisticamente che intrapsichicamente. Una madre vuole sempre un figlio e soprattutto vuole sempre un figlio psichico ossia una emozione o un bisogno nascente.
Cosa direbbe Hillman
Beh, direi che il nostro caro e vecchio Hillman sarebbe stato meno prolisso e avrebbe scagionato la madre. Così come scagiona i genitori quando afferma che li scegliamo e che non sono, superstiziosamente, la causa di tutti i nostri drammi. Recuperando la tradizione Platonica Hillman ci dice che scegliamo i genitori che più di chiunque altro, nel conflitto o nella pace, saranno il giusto terreno in cui promuovere la nostra individuazione. Banalmente un padre severo sarà il nemico e la spinta a superarlo sarà il motore necessario per comprendere chi siamo e la nostra “ghianda”. Allora possiamo dire semplicemente che avviene anche il contrario, ossia che non sceglieremo genitori incapaci di offrirci quel conflitto necessario alla nostra individuazione. Così letta la questione è semplice. Il nascituro nell’aborto comprende che quei genitori non sono il terreno del conflitto di cui sente il bisogno. Cambia idea. E la madre partecipa a questa osservazione.
Un errore di letteralizzazione
Sempre Hillman ci suggerirebbe che la confusione tra interno ed esterno è alla base della sofferenza. Allora dobbiamo anche dire che l’aborto è anche la possibile manifestazione di questa confusione. Il nascituro, il bambino allora è quello psichico, è un’immagine emergente che spinge all’individuazione e inquieta. Si inquieta perché ci obbliga a dissentire, a non somigliare a ciò a cui avremmo voluto somigliare. Allora per ingenuità lo si abortisce nel concretismo mentre lui resta lì… vivo e attivo nell’anima, costringendola a procedere. Spesso tra intrapsichico e extrapsichico, tra concretismo e immaginale, c’è un’inversione di forze in gioco. Potrebbe essere necessario abortire un’immagine e non il figlio concreto o viceversa. Se l’immagine ha bisogno di essere abortita, l’aborto concretistico sarà meno lancinante.
Intanto in Psicoterapia si abortisce
Intanto in psicoterapia? Intanto tutte le volte che una paziente giunge in terapia con un aborto vissuto la questione diventa difficile, a tratti straziante. Si perché un fatto è evidente, sempre e comunque, qualsiasi donna, in qualsiasi condizione, sotto qualsiasi cielo abbia transitato un aborto, non potrà mai superarlo e, ritengo non lo dovrà mai superare. Si, perché dovrebbe essere richiesto questo? L’aborto, spontaneo o intenzionale, al pari del parto, è un evento archetipico e emotivamente talmente denso che non può che rimanere fisso lì nell’anima. Ma una donna si strugge. Si chiede se sia peccatrice o se sia un omicida, si interroga su chi fosse quel nascituro e si arrabbia con l’uomo assente che non l’ha fermata. Oppure orgogliosamente vive quell’evento. Ma mai, dico mai, lo dimentica e si pacifica.
L’aborto dell’odio e dell’amore
Allora dobbiamo chiarire un fatto più banale. Ossia che al livello immaginale avviene si un aborto, inteso qui come atto che si oppone alla nascita. Al livello immaginale, ossia su un piano di bilancio emotivo e di bisogni, si impedisce la presa di contatto con l’odio quando ci si attende amore, o con l’amore se ciò che è atteso è l’odio. Un figlio nasce sotto l’egida, e grazie all’odio, un figlio muore per troppo amore. Ognuno di noi che nega la propria doppiezza emotiva, ognuno di noi che rifiuta l’emozione opposta a quella che ritiene opportuno dover provare, procede ad un aborto immaginale di quella emozione, di quel dio, di quella immagine. Per questo la terapia è maieutica e il terapeuta è l’ostetrico dell’anima. La psicoterapia è un reparto di ostetricia immaginale in cui si fa nascere la vita.
La vita protegge se stessa l’aborto è un atto vitale
Una cosa l’ho capita. Si da lontano d’accordo. Sono un uomo e non sono di quelli che entra in sala parto e che parla della gravidanza come se la avesse fatta lui. Non conosco il senso del parto e dell’aborto. Ma ho transitato emotivamente un aborto. L’ho raccontato in una delle pillole che trovate in questo Blog (clicca qui se vuoi leggere il racconto).Parlo delle gravidanze, quattro ne ho transitate, ma la prima è quella che al quinto mese si è concluso secondo me per troppo entusiasmo. La voglia che avevamo di quella figlia la fece nascere troppo presto. Insomma ho capito che la morte è un evento di estrema vitalità. Ogni morte e ogni aborto è comunque l’espressione della vita che protegge se medesima.
Dunque perché abortire
Dunque una donna decide di abortire per proteggere la vita. E con vita mi riferisco tanto a quella del corpo quanto a quella dell’anima. Un aborto spontaneo è infatti la intenzionale scelta del nostro organismo di salvare se medesimo. Se la gravidanza andasse avanti la vita sarebbe più a rischio. Se intenzionale ciò sarebbe altrettanto vero operato dalla nostra Psiche. Siamo psicologi e Ananke è il nostro faro. Ciò che deve accadere accadrà… questo è il faro della terapia. E se una donna ha abortito ciò significa che ciò doveva accadere, secondo necessità. Questo per tutelare la vita psichica individuale e collettiva. Non c’è giudice che tenga se non quello della donna stessa che in terapia non si da pace. Si perché per vergogna, per dispiacere, perché il vaticano incombe, non riesce ad accogliere la sua doppiezza, il suo odio nel partorire e sull’amore nell’abortire.
Psicopatologia
La psicopatologia è l’eterno sforzo a costruire racconti distorti rispetto a ciò che realmente proviamo nel tentativo di somigliare a ciò che avremmo voluto provare. Allora ecco il dramma della donna, il tentativo di raccontare come la causa siano stati genitori cattivi, compagni assenti, servizi mediocri, dati anagrafici insufficienti, economie latitanti. Mentre molto più semplicemente non voleva che quel nascituro nascesse, secondo necessità, per sopravvivenza. Una volta accolto questo allora si potrà recuperare anche il profondo legame dell’aborto con la vita e ci si riscoprirà devoti a Lei. E se un uomo partecipa emotivamente produce tre effetti: Cresce per se, sostiene la donna, rinsalda la coppia. Allora il primo modo per avviarci alla doppiezza potrebbe essere quello di viverlo in due.
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